Anthem MRX740

E se usassimo il multicanale per una stereofonia più raffinata?

Di Anthem AUDIOreview si occupò sin dal primo prodotto da questa commercializzato, il preamplificatore valvolare PRE 1 del 1995. Il marchio era stato creato dalla Sonic Frontiers, già celebre ed apprezzatissima in ambito hi-end, con l’intento di creare linee di prodotto da un lato più accessibili e dall’altro aperte alle tecnologie emergenti, come il multicanale (e quindi, necessariamente, lo stato solido). Vale senz’altro la pena di ricordare che se da un lato il mercato hi-fi ha sempre annoverato la presenza di marchi con prezzi altissimi e prestazioni oggettive di non pari altitudine, Sonic Frontiers militava in tutt’altra categoria e i suoi valvolari riuscivano a meravigliare anche una volta portati in laboratorio. Valga per tutti la prova del finale Power 2 che pubblicammo su AR196 (novembre 1999) e che rimane nella top ten dei prodotti più positivamente recensiti nell’arco della ultraquarantennale storia della nostra rivista.

Sappiamo poi bene che un conto è realizzare prodotti eccellenti, altro è riuscire a seguire su tempi lunghi le dinamiche del mercato. Sta di fatto che a fine anni ’90 Sonic Frontiers venne assorbita da Paradigm e solo Anthem rimase attiva, evolvendo nel solco per certi versi già tracciato delle nuove tecnologie ed in particolare di quella che oggi conosciamo come ARC (Anthem Room Correction), uno dei migliori metodi di ottimizzazione acustica ambientale automatizzata da noi sperimentati. L’eredità di Sonic Frontiers in qualche modo sopravvive comunque nei transistor di Anthem, ne abbiamo avuto un saggio nelle prestazioni del finalone stereofonico STR Power Amplifier (AR415) ma in generale un po’ in tutta la produzione con questo marchio passata per la nostra redazione.

Proprio per questo abbiamo scelto un amplificatore integrato multicanale Anthem per verificare se e quanto possa essere soddisfacente, e semmai conveniente, impiegare un prodotto del genere anche per la normale stereofonia. Quella un po’ meno semplice della tradizionale stereofonia con due amplificatori a banda piena.

Perché un multicanale per la stereofonia?

Abbiamo accennato più volte a questo argomento, qui pare opportuno fare una piccola summa. Ovviamente non parliamo di amplificazione multicanale per riprodurre musica multicanale in 5.1 o più (DVDA, SACD o file equivalenti) bensì di cosa può offrire di diverso, e magari di migliore, un componente di questo tipo usato per la stereofonia rispetto agli usuali amplificatori a due canali.
A parità ovviamente di spesa, in genere si ritiene che per la stereofonia sia scelta migliore – anzi, scontatamente migliore – quella che prevede l’impiego di un amplificatore stereo, in quanto più specializzato allo scopo e con risorse tutte concentrate sui due soli canali esistenti.
Può essere vero, e quasi certamente è approccio valido in senso generale se le sorgenti da amplificare sono analogiche – vale a dire, in sostanza, se si ascoltano soprattutto dischi vinilici -.
Se così non è occorre però considerare altri fattori, e in particolare:

  • l’alimentazione di un integrato dotato di almeno cinque canali amplificati – e oggi anche ben più di cinque – è in generale più generosa rispetto ad uno stereofonico di pari potenza sui singoli canali. Fanno di sicuro eccezione molti prodotti di fascia bassa e talvolta medio-bassa, che nei nostri test potenza/tempo mostrano crolli drastici dopo poche decine di millisecondi, ma salendo un po’ di livello e orientandosi verso marchi di provata serietà questa tendenza diventa quasi una regola.
  • taluni integrati multicanale consentono di configurare gli stadi di potenza per operare in bi-amping, rendendo disponibile a costo moderato una modalità operativa nata nel mondo hi-end che in genere richiede investimenti consistenti per essere implementata con amplificatori a due canali.
  • gli integrati multicanale devono prevedere la presenza del subwoofer e consentire di conseguenza il taglio passa-alto di tutti diffusori pilotabili, con un passo in frequenza che sovente è abbastanza fino da attagliarsi alla banda realmente riproducibile dai diffusori stessi.

Del bi-amping non abbiamo parlato spesso su AUDIOreview ma in qualche occasione sì, ad esempio nella prova del crossover M2tech Mitchell (AR 431 e 432) e soprattutto su AR 397, dove abbiamo messo a confronto cosa può cambiare passando dalla normale connessione a singolo cavo di potenza al bi-wiring e poi al bi-amping.

Sintetizzando al massimo si può dire che l’impedenza interna non nulla degli amplificatori, sommata a quella dei cavi di potenza, può portare alla generazione di segnali spuri che si trasmettono da una via all’altra. L’impedenza non lineare degli altoparlanti può infatti far sì che la distorsione sulla corrente si traduca in componenti indesiderate di tensione che una via può trasmettere a quelle contigue soprattutto nella regione di crossover, laddove l’attenuazione prodotta dai filtri è minima.

Il bi-wiring (dando per scontato che sugli altoparlanti siano disponibili solo due coppie di morsetti, a prescindere dal reale numero delle vie) richiede solo di raddoppiare i cavi di potenza e quindi – se non si usano cavi particolarmente costosi – è una soluzione abbastanza economica, però elimina solo l’effetto pernicioso dell’impedenza non nulla dei cavi e non anche quello dell’impedenza interna dell’amplificatore. Per eliminare alla radice la possibilità di interferenze occorre il bi-amping, ovvero un amplificatore per ogni via, che separa totalmente le vie ed offre il vantaggio collaterale di consentire agli amplificatori di erogare corrente solo nella banda trattata dal loro altoparlante, con qualche piccolo vantaggio anche sulla loro intrinseca linearità.

Il taglio passa-alto del segnale consegnato ai diffusori, di cui pure abbiamo parlato in alcune occasioni, potrebbe di primo acchito sembrare qualcosa di profondamente anti-audiofilo: ma come, in tutti i componenti cerchiamo di ottenere anche la massima estensione e linearità alle basse frequenze e invece qui mi si propone proprio di tagliarle?

Se disponessimo di diffusori ideali, o quantomeno di qualità molto alta anche alle bassissime frequenze, sarebbe in effetti una follia. I diffusori reali invece sono equipaggiati di woofer che non riescono a riprodurre le note più profonde, ma se le ricevono “cercano” di farlo e nel tentativo si muovono molto, portando i loro diaframmi in aree poco lineari dell’escursione utile e generando quindi intermodulazione con i segnali che invece potrebbero riprodurre bene, quelli a frequenza non troppo bassa.

Nonostante il numero dei canali e la generale complessità strutturale l’interno dell’Anthem non appare sovraffollato, su alcune schede si nota anzi la sagoma serigrafata di componenti non montati in quanto evidentemente destinati al modello superiore MRX 1140. La filatura è poca e molto ben organizzata, grazie ad un’ingegnerizzazione molto razionale, con schede ad alta densità di componentistica SMD innestate verticalmente e reciprocamente collegate con connettori rigidi e (pochi) connettori condotti tramite cavi. La sezione di potenza, disposta sulla scheda più bassa, è dotata di un dissipatore non enorme in relazione alla potenza totale disponibile ma equipaggiato con una ventola, che peraltro non si è mai fatta sentire né nel corso dei test di laboratorio né in sala d’ascolto. Un’altra piccola ventola sul pannello posteriore migliora all’occorrenza la dispersione del calore.

La condizione peggiore si verifica con i sistemi reflex ed in particolare con i due vie: il caricamento reflex limita molto l’escursione alla frequenza di accordo (che a seconda delle dimensioni del diffusore spazia orientativamente da 20 a 60 hertz) e nei suoi dintorni, ma scendendo abbastanza al di sotto di questa l’altoparlante opera quasi come se fosse in aria libera, privo del freno pneumatico che invece una cassa chiusa mantiene a tutte le frequenze. Il due vie è il caso peggiore perché il woofer è in effetti un mid-woofer ed opera necessariamente fino alla gamma media. Sono ormai quindici anni che il nostro esclusivo test di Total Noise Distortion rivela e quantifica questo fenomeno, confermato appieno sia dai test di ascolto in redazione che dalle prove pubbliche che abbiamo effettuato in fiere ed auditorium.

Il telecomando consente il controllo di molte delle funzioni disponibili e ovviamente rende immediata l’azione su quelle di normale operatività, come ad esempio i controlli di tono e bilanciamento.

Quale sia l’effettivo “peso” all’ascolto del bi-amping e della filtratura preventiva è difficile da dire ed ovviamente dipende molto dalle caratteristiche degli altoparlanti, e per il bi-amping anche dell’amplificatore. Di sicuro c’è che la filtratura è utile quasi sempre, a meno di disporre di diffusori grandi e con woofer tagliato molto in basso. Il bi-amping ottiene migliorie in genere più sottili ma piuttosto universali.

Costruzione e componentistica

La grande dotazione di funzioni e la flessibilità dell’apparecchio si rispecchiano in una notevole complessità costruttiva, che però a sua volta non si traduce in una realizzazione caotica o indecifrabile bensì in un’ordinata stratificazione di schede altamente interconnesse e con poca filatura di collegamento, regolarmente terminata in connettori sfilabili.

La componentistica è in larga misura del tipo a montaggio superficiale e la densità dei componenti è quindi ovunque molto elevata, un’eccezione è però costituita dalla sezione di potenza, collocata nella parte più bassa unitamente all’alimentazione. I cinque canali a potenza piena sono fatti a componenti discreti ed ogni sezione finale monta una coppia di Sanken 2SD2560/2SB1647, dei transistor bipolari in connessione darlington, ovvero con driver incorporato e collettore comune.

I “vecchi” tecnoaudiofili mostrano spesso una spontanea avversione ai darlington perché ricordano bene quelli della loro gioventù, quando questi componenti erano quasi sinonimo di lentezza, delicatezza e tendenza all’autoscillazione, ma quelli moderni – e questi Sanken in particolare – sono invece veloci, stabili e lineari. Rispetto ad un darlington a discreti hanno anzi un netto vantaggio termico perché driver e finali sono sullo stesso chip e sono quindi perfettamente sincronizzati nelle variazioni di temperatura e la stabilità dinamica della loro polarizzazione è quindi paragonabile a quella di un sistema basato su transistor che integrano anche il termosensore, come la celebre coppia NJL3281/1302 (che però richiede un driver esterno); qui il termosensore è peraltro vicinissimo ai finali, come si può osservare nella relativa fotografia.

Può sorprendere che una singola coppia complementare dotata di dissipazione statica nominale di 260 watt venga usata per potenze di uscita relativamente elevate come in questo caso, ma i progettisti Anthem sanno evidentemente bene il fatto loro se solo si considera che non solo l’apparecchio è uscito indenne da tutte le torture a cui l’abbiamo sottoposto in laboratorio, ma che in nessun caso sono neppure intervenute le protezioni.

Seguendo i livelli del pannello posteriore e rilevando le sigle dei componenti possiamo riconoscere le funzioni delle principali schede e quindi trovare in alto quella relativa alle connessioni HDMI, basata su componentistica Panasonic, che ne sovrasta una molto più ampia ove risiedono le funzioni per le connessioni wireless e quella di rete cablata, ma anche alcune parti della sezione digitale audio tra cui una coppia di transceiver Burr Brown PCM9211 che sono probabilmente anche quelli che si occupano della conversione da analogico a digitale dei segnali applicati agli ingressi analogici, dato che incorporano dei convertitori AD a 96 kHz e 24 bit.

Al di sotto troviamo la “DAC board” su cui sono montati i convertitori DA che asserviscono i vari canali di uscita, ovvero sei ESS ES9010K2M SABRE della ESS Technology. Sono convertitori a due canali in tecnologia Hyperstream a 32 bit capaci di accettare segnali PCM fino a 384 kHz e DSD fino a 11,2 MHz, con una sezione PLL denominata “time domain jitter eliminator” e di sovracampionatore con doppio FIR opzionale per il PCM. Ancora sotto si trova la scheda degli ingressi ed uscite e parte della sezione pre analogica, ove viene effettuata anche la regolazione del volume tramite degli ottimi Cirrus Logic CS3318 ad otto canali.

L’alimentazione si avvale di una sezione switching a bassissimo assorbimento per lo standby e di un trasformatore di tipo tradizionale con anello di corto per abbattere il flusso disperso, dalla potenza totale difficilmente stimabile ma verosimilmente attestata sui 600 VA.

La conversione da digitale ad analogico è affidata a ben 6 unità ES9010K2M SABRE della celebre ESS Technology. Si tratta di un DAC a due canali in tecnologia Hyperstream a 32 bit capace di accettare segnali PCM fino a 384 kHz e DSD fino a 11,2 MHz e con un livello di distorsione+rumore minimo nominale dello 0,0005%. È inoltre dotato di “time domain jitter eliminator” e di sovracampionamento con doppio FIR opzionale per il PCM.
L’elettronica di potenza dei cinque canali a piena potenza è realizzata a componenti discreti e gli stadi finali di ciascun canale utilizzano una coppia complementare Sanken 2SD2560/2SB1647, separati dal loro termoregolatore. Si tratta di darlington bipolari notevolmente veloci, ciascuno in grado di dissipare 130 watt a 25 gradi e gestire correnti di picco fino a 30 ampere, nonché di accendersi e spegnersi in tempi dell’ordine del microsecondo.

Esterno e possibilità operative

Per descrivere compiutamente tutto quello che l’MRX 740 può fare non basterebbe un articolo di venti pagine, né per illustrare tutto è bastato alla casa il pur ampio e ben organizzato manuale fornito in dotazione e scaricabile online, insieme ad altri documenti e strumenti software di sicura utilità. Invano cerchereste ad esempio in esso l’acronimo DLNA, sebbene sia con quel protocollo che abbiamo testato in laboratorio la sezione digitale, per la quale peraltro la casa non dichiara alcun dato nemmeno sul proprio sito; e la lista potrebbe continuare. Faremo pertanto in questo modo: qui ci occuperemo precipuamente delle funzioni che consentono di implementare quanto detto nella parte iniziale e accenneremo a volo d’angelo alle altre, tenendo presente che un’analisi molto ben fatta di questo apparecchio in qualità di amplificatore audio-video è stata condotta dall’ottimo Mario Mollo sui numeri 16 e 17 della consorella AudioGallery (anche lì sono occorse due puntate…).

Il setup ARC fornito a corredo, ovvero il microfono con il cavo USB per la sua connessione al computer ove deve essere installato il relativo software, ed una valida asta microfonica.

Esistono cinque modalità di base per controllare l’integrato Anthem: da pannello frontale, da telecomando, da smartphone, da computer e via RS-232 in un sistema di home-automation. Il pannello ha pochissimi comandi, una manopola e sei pulsanti, due dei quali hanno funzione stabile (accensione/ spegnimento e muting) mentre tutto il resto è a softkey, che assumono ruolo diverso a seconda del contesto e in particolare del livello di menù in cui ci si trova: detto così può sembrare complicato per un neofita, in realtà tutto è reso semplice dal grande e leggibilissimo display nella metà sinistra del frontale. Il controllo tramite smartphone e quello da computer sono sostanzialmente equivalenti, nel senso che nella rete casalinga l’apparecchio viene visto come una risorsa a cui accedere tramite il suo numero IP e cliccando sulla sua icona è lui ad inviare le schermate per il controllo a mo’ di sito web, ma date le dimensioni ben diverse dei relativi display il computer risulta molto più adatto per le prime impostazioni generali e lo smartphone per il controllo durante l’uso; in relazione a quest’ultimo va notato che l’accesso all’apparecchio viene facilitato dalla app Google Home, disponibile sia per il mondo Android che per quello Apple. Riguardo il wireless l’apparecchio può connettersi sia in wi-fi che in Bluetooth ed è compatibile con AirPlay di Apple, con Spotify Connect e con Chromecast, ma va anche detto che il firmware è ovviamente aggiornabile (anche in modo automatico) e che futuri aggiornamenti potranno permettere di estendere sia le compatibilità di formato che i servizi, e quello con la piattaforma software Roon è dato per incipiente.

Il setup Anthem permette di organizzare le risorse di sistema (amplificatori e relativi altoparlanti collegati, filtraggi, livelli, distanze etc.) in quattro diversi “profili” (v. Figura 1), rapidamente richiamabili. La sezione che consente di effettuare i tagli passa-basso (per il/i subwoofer) e passa-alto (per i diffusori principali) risiede nel menù “Bass management”, i valori partono da 40 hertz e procedono a step di 10 hertz: un passo relativamente grossolano se non si desidera adottare uno o più subwoofer (che per chi scrive è comunque la scelta migliore, se ben ottimizzata) dato che il limite fisico dei diffusori disponibili potrebbe non attagliarsi al meglio a questi valori, ma del tutto adeguato se la sezione subwoofer esiste. In quest’ultimo caso l’ottimizzazione dell’incrocio può essere anche manuale, è previsto infatti un valore di taglio per la “fase” che dovrebbe corrispondere al classico passa-tutto a Ft regolabile presente anche in gran parte dei subwoofer. Ma in un componente dotato di ARC e di tutte le relative risorse hardware (quelle software sono scaricabili gratuitamente dal sito), inclusa una valida asta microfonica, la scelta migliore è quella di decidere i tagli e poi lasciare alla macchina l’ottimizzazione automatica.

Figura 1. Con un browser del computer (come in questo caso) o dello smartphone è possibile impostare le numerose funzioni di menù ed in particolare i quattro possibili “profili”, che determinano l’organizzazione e l’impostazione delle risorse di sistema.

Il bi-amping si può impostare dal menù “Amp Matrixing” (Figura 2), basta assegnare ai canali posteriori il segnale dei frontali. Nel corso dei test di ascolto il nostro Andrea Allegri ha lamentato la mancanza di una “finezza” ulteriore, quella di poter alzare la frequenza di taglio dei soli canali destinati alla sezione alti la cui utilità sperimentammo nel corso della prova del crossover M2tech: ma si tratta per l’appunto di un dettaglio che la casa potrebbe anche prevedere di implementare in future versioni del firmware, al pari di una riduzione del passo dei tagli.

Figura 2. Il submenù “Amp Matrixing”, presente in questo modello e in quello maggiore MRX 1140, consente di assegnare il segnale dei canali frontali anche a quelli posteriori ed implementare quindi il bi-amping.

Le misure

Come indicato all’inizio dell’articolo questo multicanale Anthem è stato provato come di norma facciamo per gli integrati stereofonici, ma per sapere come si comporta in multicanale abbiamo comunque aggiunto la potenza erogata in funzione del tempo con cinque canali pilotati contemporaneamente. La Caratteristica di Carico Limite conferma sostanzialmente il dato di potenza di targa (140 W/canale su 8 ohm), i 133+133 W trovati da noi sono infatti ai primi sintomi di clipping mentre la casa riferisce il dato ad un livello di distorsione dell’uno per cento. Ben più importante è però che le curve salgono con buona rapidità fino al limite di misura di 2 ohm ottenendo oltre 200 watt per canale continui su 4 ohm e 260+260 su 2 ohm, con un picco di 293+293 watt su 2 ohm in regime impulsivo (40 millisecondi).

Dato che anche la Tritim su carico resistivo/capacitivo è ben superata, e che in nessun caso le protezioni sono intervenute nel corso dei test (né in sala d’ascolto), se ne deduce che l’indicazione “Compatible with 4 Ohms or higher impedance” fornita dalla casa sia piuttosto conservativa e che in regime musicale questa compatibilità arrivi in realtà almeno fino a 2 ohm.

Il grafico potenza/tempo con cinque canali pilotati rivela un’alimentazione decisamente più robusta di quanto solitamente si osserva in questa tipologia di apparecchi, che per carichi sufficientemente elevati non crolla dopo poche decine di millisecondi. Su 8 ohm il comportamento è equivalente a quello di un amplificatore da 5×110 watt continui, che diventano circa 5×90 su 4 ohm, ma con picchi che per treni d’onda brevi raggiungono 175/248/305 watt per canale su 8/4/2 ohm. Una bella capacità dinamica in ogni condizione, in sintesi.

Le misure di potenza sono state effettuate entrando sul primo ingresso analogico, e come si nota dalla relativa risposta in frequenza – e come logica vuole in un componente che nasce per operare con segnali digitali – il relativo segnale viene subito convertito in digitale, per l’esattezza campionato a 96 kHz, con un limite di banda utile di 42 kHz. In un caso del genere è rilevante sapere quale sia il livello d’ingresso che permette di raggiungere lo 0 dB digitale, in questo caso collocato a 2,23 volt RMS sinusoidali (±3,15 V di picco): un dimensionamento ottimale, considerando che la grande maggioranza delle sorgenti sbilanciate attuali esce intorno ai 2 volt.

Il rapporto segnale/rumore pesato riferito ai 500 millivolt standard è relativamente basso (85,8 dB), ma se consideriamo i 2 volt appena citati sale a 98 dB. La linearità dell’insieme ADC+pre+finale è attestata non solo dalla già vista Tritim (che di fatto usa il segnale più ostico di tutti) ma anche dalle curve potenza/distorsione e soprattutto da quelle frequenza/distorsione, pressoché prive della frequente tendenza a salire all’estremo acuto.

La sezione digitale è stata misurata sia entrando in HDMI che dall’ingresso di rete, sfruttando i protocolli DLNA con cui la macchina è compatibile (pur non essendo citati in alcun punto nella documentazione Anthem), e in questo modo abbiamo subito constatato la compatibilità con flussi PCM a 24 bit fino a 384 kHz.

La massima ampiezza di banda si ottiene con segnali campionati a 192 kHz e vale 80 kHz (-3 dB), con una variazione in banda udibile che non supera mai 0,3 decibel. Il jitter è ben contenuto, con in media 120 picosecondi di componenti periodiche e 109 di casuali, ed è buono anche il comportamento ai bassi livelli di segnale come si nota dalla buona pulizia dello spettro del tono puro a -70 dB.

La risoluzione integrale equivalente minima tocca 16,5 bit e la gamma dinamica 107 dB, equivalenti a 17,5 bit per segnali di piccola ampiezza.

I canali amplificati sono sette, per implementare il bi-amping la coppia extra da utilizzare (oltre ovviamente ai frontali) è quella “back”. Le uscite preamplificate sono invece 13, ovvero 11.2 secondo la nomenclatura invalsa sin dai primi sistemi multicanale, che oltre a replicare i canali anche amplificati aggiungono quattro canali di altezza e due subwoofer. Nella parte mediana troviamo gli ingressi solo audio, cinque analogici a livello linea ed altrettanti digitali seriali (tre ottici e due elettrici), e in alto gli ingressi e le uscite audio-video HDMI, nonché le antennine per il wireless e la fondamentale presa di rete.

Conclusioni

Lo abbiamo annotato altre volte, l’alta fedeltà è una passione declinabile in molti modi diversi e spesso mutuamente escludenti. Chi da sempre ascolta solo dischi vinilici con amplificazioni rigorosamente valvolari non prenderà in considerazione nemmeno per un femtosecondo l’ipotesi di dotarsi di un componente come l’Anthem di questa prova, e livelli di scetticismo minori ma pur sempre forti potrebbero provenire da quegli audiofili che non hanno preclusioni di tipo tecnologico ma prediligono comunque il minimalismo e la stereofonia tradizionalmente intesa.

Ce ne sono però altri che ascoltano quasi esclusivamente segnali codificati digitalmente in PCM e che magari, pur ascoltando solo in stereofonia, volentieri sperimenterebbero quei plus che solo un integrato multicanale di questa tipologia oggi offre, ovvero il bi-amping e la filtratura passa-alto dei segnali esterni alla banda utile dei diffusori impiegati.

Altri amano sia la stereofonia che il multicanale ma pretendono comunque un’amplificazione di qualità, sono quantomeno incuriositi da quel che il Dolby Atmos può consentire anche nel solo ambito musicale e non intendono rinunciare alla comodità di avere tutto il proprio archivio nella rete casalinga nonché di poter gestire l’amplificazione anche da smartphone, inclusi eventuali flussi provenienti da provider esterni.

L’Anthem MRX740 consente tutto questo, e molto altro, ad un costo apprezzabilmente superiore ad altri multicanale da battaglia, ma totalmente giustificato dalle prestazioni, dalla flessibilità e dal livello costruttivo.

Fabrizio Montanucci


L’ascolto

Difficilmente l’audiofilo puro e duro è portato a pensare ad un integrato multicanale per l’ascolto della musica stereofonica, e la ragione pare ovvia. Gli amplificatori multicanale (che molti ancora chiamano “sintoamplificatori” pur se una sezione sintonizzatore non c’è) devono includere molte più funzioni dei “colleghi” stereo, compresa la parte video, e negli stessi spazi spesso devono includere qualità e potenza per almeno altri tre canali. Non c’è da meravigliarsi se a parità di prezzo un integrato a due canali possa tipicamente essere più curato sotto vari aspetti.

Ci sono comunque delle eccezioni come dimostra l’Anthem MRX740, un A/V Receiver (così lo chiama la casa stessa) che è in grado di mettere d’accordo sia gli “stereofili” che i “multicanalisti”. Abbiamo voluto metterlo in prova non solo come apparecchio dedicato all’intrattenimento cinematografico o musicale multicanale ma anche considerandolo come integrato stereofonico. Un componente di questo livello ci ha poi aiutato a dimostrare come “qualche” canale e funzione in più contribuiscano ad ottenere una riproduzione stereofonica più soddisfacente.

Con un apparecchio così ben strutturato è possibile sfruttare la predisposizione al bi-amping di molti diffusori ma anche il filtraggio passa-alto su sistemi di altoparlanti che per loro natura non sono in grado di scendere a bassissime frequenze. I vantaggi li descriviamo di seguito per grandi linee. Nel primo caso separando l’amplificazione tra gamma bassa e gamma medio-alta si limitano le interazioni possibili tre le due sezioni quando è elevata la richiesta energetica soprattutto da parte dei woofer. Da considerare poi che raddoppiando gli amplificatori la corrente sfruttabile può teoricamente anche raddoppiare. La seconda opzione, vale a dire il filtraggio passa-alto, è rivolta similmente a limitare l’influenza che l’emissione della gamma bassa ha sulla porzione di spettro superiore, particolarmente in sistemi a due vie in cui il midwoofer deve riprodurre una banda abbastanza estesa. Impiegare quindi un ricevitore A/V, che è progettato per poter integrare almeno un subwoofer e quindi è in grado di effettuare tagli in frequenza pure sui satelliti, può essere una valida soluzione anche se non vogliamo implementare un sistema 2.1. Ovviamente non si vuole “indebolire” l’ascolto togliendo inopinatamente basse frequenze ma si tratta di intervenire dove il diffusore naturalmente non si estende.

Per beneficiare di tutto questo è necessario poter contare su un multicanale di qualità, e l’MXR740 non ha nulla da invidiare come prestazioni sonore a molti colleghi stereo. Abbiamo dunque effettuato un test puramente a due canali sfruttando le possibilità sopra descritte e tralasciando volontariamente l’impiego di ARC, il valido (e raccomandato) sistema di correzione acustica ambientale, per non aggiunger troppa carne al fuoco. Per la prova “liscia” e in bi-amping abbiamo potuto coinvolgere dei sistemi di diffusori di notevole caratura come i JBL S4700, rappresentanti attuali dello storico sound americano, e come gli Albedo Acclara, una sofisticata eccellenza italiana. Dei diffusori completi capaci di prestazioni dinamiche fuori dal comune e per questo esigenti dal punto di vista della qualità e della quantità.

Con questi il timbro dell’MRX740 è apparso corretto, senza particolari inflessioni o enfasi di cui alcuni sintoamplificatori soffrono, vittime (in)colpevoli di progetti votati più alla spettacolarità nell’intrattenimento cinematografico che non alla musica. Anthem invece cura molto questo aspetto come ho avuto modo di appurare anche in precedenza in occasione della prova dell’accoppiata AVM 60 e MCA 525. Ascoltando con l’MRX740 generi musicali in cui sono coinvolti strumenti acustici, dalla classica al rock, si sono percepite sfumature tendenti al caldo, in cui la gamma media ha mostrato una buona naturalezza e il dettaglio ha avuto nell’alto un supporto valido e privo di asprezze. Questa elettronica ha la giusta trasparenza, la nitidezza che pretendiamo da un amplificatore stereofonico di buon livello. La caratteristica che mi ha impressionato nei precedenti incontri con amplificatori Anthem è stata sempre una certa sensazione di realismo e vivacità e l’MRX740 ha dimostrato senza ombra di dubbio di fare parte della famiglia.

Con i grandi sistemi di altoparlanti impiegati sfruttando “solo” i canali frontali la situazione è apparsa già di per sé soddisfacente. Le cose sono migliorate ulteriormente sotto il profilo della dinamica e in qualche modo della pulizia applicando il bi-amping, impostando l’MRX740 in modo che il segnale dei frontali fosse replicato sui back. In questo modo è stato davvero divertente passare in rassegna i brani test più impegnativi potendo contare su una adeguata riserva di energia. L’Anthem ha fatto il suo dovere muovendo con sicurezza il woofer da 15 pollici dei JBL e non si è fatto impensierire dai tre altoparlanti in parallelo degli Albedo.

Con simili diffusori non era logico applicare un filtro passa-alto. La loro capacità di estensione in frequenza e la progettazione a tre vie li mette maggiormente al riparo dai problemi sopra descritti. Il discorso cambia se consideriamo l’impiego di diffusori da stand a due vie. Per la prova allora abbiamo sballato nuovamente i sorprendenti JBL HDI 1600 che erano pronti per il reso. I piccoli diffusori californiani offrono la tipica grinta JBL in una maniera facile e fruibile e vi abbinano una impostazione audiofila molto curata. L’intervento di filtraggio passa-alto è stato qui applicato a 50 Hz o 40 Hz dopo aver svolto un po’ di prove. Comoda in questo caso si è rivelata la possibilità di controllare l’MRX740 da PC attraverso la rete internet effettuando cambi in tempo reale (solo un prudenziale quanto breve muting applicato dall’amplificatore ad ogni cambio). Alla prova dei fatti con la riproduzione a banda intera si è talvolta percepita una leggera sensazione di indurimento in gamma media che l’applicazione del filtro ha in più occasioni attenuato o eliminato. Questo è avvenuto senza stravolgere l’espressività dei diffusori, in particolare evitando di penalizzare l’essenza della musica in gamma bassa che gli HDI 1600 esprimono con particolare verve nonostante le dimensioni.

In conclusione non possiamo che consigliare l’impiego dell’Anthem MRX740 a tutto campo e non solo a chi ha un sistema multicanale. Anche chi ascolta prevalentemente in stereofonia potrebbe contare sulle sue ottime prestazioni sonore con la possibilità di migliorare la resa dell’impianto grazie ad un saggio impiego delle funzioni extra che il multicanale rende disponibili.

Andrea Allegri


Anthem MRX740
Amplificatore multicanale audio-video con funzionalità di rete

  • Distributore per l’Italia: Audiogamma S.p.A., Via Nino Bixio 13, 20900 Monza (MB). Tel. 02 55181610 – www.audiogamma.it
  • Prezzo (IVA inclusa): euro 3.399,00
CARATTERISTICHE DICHIARATE DAL COSTRUTTORE
  • Massima potenza di uscita (per THD 1%), canali da 1 a 5: 140 W per canale su 8 ohm, 170 W per canale su 6 ohm (2 canali in funzione).
  • Massima potenza di uscita (per THD 1%), canali 6 e 7: 60 W per canale su 8 ohm, 75 W per canale su 6 ohm (2 canali in funzione).
  • Impedenza degli altoparlanti: compatibile con impedenze uguali o maggiori di 4 ohm.
  • Massima tensione di uscita sezione preamplificatore (THD <0,1%): 5,2 V RMS.
  • Risposta in frequenza sezione preamplificatore: 20 Hz-30 kHz ±0,2 dB.
  • THD+N sezione pre (uscita 2 V RMS): 0,001%.
  • Rapporto S/N sezione pre (uscita 2 V RMS, filtro IEC-A): 110 dB.
  • Rapporto segnale/rumore (uscita di potenza, potenza 1 W): 91 dB (canali da 1 a 5), 86 dB (canali 6 e 7).
  • Consumo: standby 0,3 W, standby con controllo IP attivato 1,8 W, standby con bypass HDMI attivato 4,9 W, massimo con carico tipico 485 W.
  • Dimensioni (LxAxP): 431,8×151,6×38,2 cm.
  • Peso: 15,1 kg

Author: Redazione

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