Internet of Thing

Il mondo delle Cose che dialogano

Riuscite a immaginare un mondo parallelo nel quale gli oggetti comunicano fra loro e con noi? Bene, questo mondo è già qui e si sta espandendo!

“Internet delle Cose”: la frase è evocativa e le sue implicazioni sono già – e lo saranno ancor di più negli anni a venire – molto ma molto concrete. Per inquadrare la materia partiamo dalla definizione che ne dà l’Enciclopedia Treccani online: “Rete di oggetti dotati di tecnologie di identificazione, collegati fra di loro, in grado di comunicare sia reciprocamente sia verso punti nodali del sistema, ma soprattutto in grado di costituire un enorme network di Cose dove ognuna di esse è rintracciabile per nome e in riferimento alla posizione”.
Il concetto è abbastanza lineare ma la sua pratica implementazione ha delle declinazioni quasi infinite, perché gli oggetti sono tantissimi e diversissimi e connetterli insieme è la Fatica di Ercole numero 13. Una condizione imprescindibile e comune a tutte le applicazioni è il far sì che gli oggetti abbiano una “intelligenza” che consenta loro di comunicare dati su se stessi e di accedere ad informazioni create dagli altri oggetti. La visione sottostante è che, in questo modo, gli oggetti possono creare di se stessi un’immagine elettronica che va in Rete e che si sovrappone a quella fisica, stabilendo collegamenti altrimenti impossibili.

Connessioni di tutte le dimensioni

La materia è talmente estesa che non basterebbe un numero della rivista per trattarne anche solo una piccola parte; quel che possiamo fare in ogni caso con questo articolo è cercare di tracciare uno sguardo d’assieme e vedere qualche linea di tendenza attuale. Potremmo cominciare dicendo che l’Internet delle Cose ha una scalabilità estrema: può riguardare le scarpe da ginnastica e chi le indossa, un edificio, un parcheggio o le migliaia di automobili che circolano in un’intera città, anch’essa connessa al suo interno.
L’estrema variabilità delle scale implica che per creare queste reti ci si debba servire di collegamenti di ogni tipo: da quelli a raggio corto e cortissimo – ad esempio fra un caricabatterie ad induzione ed un cellulare – a quelli attivi nella scala delle decine di metri, come quelle attive dentro una singola abitazione. Nel momento nel quale la rete “locale” (il virgolettato è d’obbligo perché si può parlare di uno jogger con le sue calze connesse e il suo smartphone così come di un appartamento con decine di sensori) abbia accesso al Web allora la scala cambia rapidamente, diventando planetaria.
L’Internet delle Cose (o IoT, da Internet of Things) è uno dei campi nei quali gli impieghi possono essere di ogni tipo, tanto da far dire che la fantasia sia l’unico limite.

La pioniera nelle case

Uno dei settori nei quali l’IoT si è manifestato precocemente, anche se ancora non si chiamava così, è la domotica, un insieme di tecnologie che chi legge Digital Video conosce già. La domotica ha sempre connesso oggetti di tipo diverso – porte, tende, componenti audio/video, serrature, condizionatori d’aria – per poterli controllare a distanza e in maniera centralizzata; l’ondata dell’Internet delle Cose ne ha però cambiato la “pelle” e le possibilità. Un cambio di paradigma c’era già stato con la massiccia diffusione di Internet e delle reti Ethernet, fattori che hanno abilitato la connessione via IP (Internet Protocol) dei dispositivi e quindi la possibilità di trasformare gli impianti in una sorta di siti Web da “visitare” on-line. La lavatrice che comunica a che punto è con il lavaggio e che magari chiede assistenza perché ha un malfunzionamento interno è “figlia” delle reti wireless e dei sensori sempre più economici e compatti.

Questo forno LG della serie ThinQ, dotato di capacità di connessione, ha un ampio display che non solo facilita la programmazione ma può visualizzare le ricette ricevute da un frigorifero della stessa serie. Il frigorifero stesso è in grado di suggerire ricette in base ai cibi presenti al suo interno e - come gli altri componenti ThinQ - dialoga con i cellulari, inviando loro anche autodiagnosi, e può parlare con eventuali SmartGrid per ottimizzare i consumi.

Questo forno LG della serie ThinQ, dotato di capacità di connessione, ha un ampio display che non solo facilita la programmazione ma può visualizzare le ricette ricevute da un frigorifero della stessa serie. Il frigorifero stesso è in grado di suggerire ricette in base ai cibi presenti al suo interno e – come gli altri componenti ThinQ – dialoga con i cellulari, inviando loro anche autodiagnosi, e può parlare con eventuali SmartGrid per ottimizzare i consumi.

Gli ultimi sviluppi dei link wireless permettono ai system integrator di progettare impianti ancora più pervasivi e, nello stesso tempo, discreti, dato che i sensori e le periferiche sono ancora più piccoli e facili da installare perché dialogano via onde radio. Molto importante è il ruolo svolto proprio da queste nuove tecnologie senza fili, che vanno oltre il classico Wi-Fi proprio per focalizzarsi in questo settore. Fra questi standard molti diffusi sono ZigBee e Z-Wave, con il primo che aderisce allo standard IEEE 802.15.4 mentre Z-Wave è conforme al regolamento ITU G.9959. Per una comparazione dei due sistemi vi rimandiamo al riquadro tecnico in fondo alla pagina, qui esplicitiamo i punti di contatto, il più importante dei quali è la loro attitudine a creare reti mesh ossia network di telecomunicazione senza fili di tipo cooperativo.

Il network poco gerarchico e molto autogestito

La particolarità di questi tipi di rete è che la gerarchia fra i vari nodi è molto “piatta”, nel senso che i singoli nodi fungono – indifferentemente o quasi – da ricevitori, trasmettitori o ripetitori. Questo è molto importante perché è possibile impiegare potenze piuttosto basse – a tutto vantaggio dell’inquinamento elettromagnetico – dato che le distanze da coprire vengono superate con molteplici “salti” da un nodo all’altro invece che con una singola tratta più lunga.

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Possiamo considerare come Internet delle Cose, per esempio, anche le etichette RFID o codici QR Code, che permettono alle Cose di presentarsi e “raccontare” una storia: tutti abbiamo visto questi codici, ad esempio nei musei, usati per arricchire un oggetto con contenuti ipertestuali raggiungibili via smartphone. La qualità del dialogo è meno smart, dato che la comunicazione non è bidirezionale, ma è comunque un embrione di IoT.
Facciamo un altro esempio: Bosch, uno dei grandi produttori del settore, ha proposto una soluzione basata su una miriade di sensori annegati nell’asfalto. Ognuno di essi avrà una minuscola batteria (che dovrebbe durare anni) ed essi formeranno reti mesh che invieranno sul Web, tramite un router, informazioni sui parcheggi liberi. Questi sensori dovrebbero essere dei MEMS, quei circuiti microelettromeccanici che i lettori di Digital Video conoscono bene, dato che sono il cuore dei videoproiettori con chip DLP.
L’ondata dell’IoT ha coinvolto anche costruttori non tradizionalmente impegnati nel settore, come ad esempio i brand che producono materiale elettrico e che, insieme a prese e citofoni, propongono oggi anche interfacce, sensori e attuatori.
Una branca importante, e destinata ad un sicuro, tumultuoso sviluppo, è poi costituita dai veicoli connessi, un esempio di “Cose” in movimento collegate al web. Sappiamo che ormai da decenni al loro interno non esiste più un impianto elettrico tradizionale (pulsante-filo-lunotto termico-filo-massa) ma un bus di dati e una semplice linea di alimentazione. L’accensione di un apparecchio ha questo schema: il relativo pulsante invia un segnale codificato nel bus ma solo l’utilizzatore prescelto, ad esempio il lunotto termico, “capisce” che il codice è destinato a lui e si attiva. In pratica ogni utilizzatore ha il suo codice: se, per esempio, esco dalla macchina e chiudo col telecomando si genererà un segnale di controllo che alza i vetri elettrici, un altro azionerà la chiusura centralizzata mente il terzo attiverà l’antifurto, con gli altri sistemi che rimarranno silenti.

Se le auto parlano, il pettegolezzo è utile

I dati nel bus sono digitali – anche grandezze fisiche come le temperature sono convertite in questa forma – e a questo punto, complice la pervasività delle reti Internet, diventano possibili una miriade di applicazione prima impensabili. Inserendo un gateway internet sarà per esempio possibile verificare, da remoto, la temperatura nell’abitacolo e accendere il climatizzatore o far suonare il clacson. Il sistema di navigazione del veicolo potrà comunicare all’abitazione che il proprietario sta arrivando ed essa potrebbe “prepararsi” accendendo il riscaldamento e le luci.
Ricordate i molti piccoli sensori annegati nell’asfalto dei parcheggi? Un veicolo connesso è anch’esso un sensore: se molte automobili procedono a passo d’uomo si può supporre che siano in mezzo ad un ingorgo. Esse potranno formare una rete mesh che generi l’informazione “molte auto in un traffic jam“ ed essa potrà sia propagarsi all’indietro, in modo da avvertire altri veicoli che stanno sopraggiungendo, sia andare sul Web per poter essere trasmessa alla sala controllo della viabilità e alle infrastrutture (semafori, pannelli a messaggio variabile, caselli autostradali…) che fanno parte anch’esse dell’Internet delle Cose. Il sensore d’urto di un’auto connessa può mandare una chiamata automatica di soccorso e nello stesso tempo avvertire tramite scheda Wi-Fi e modem cellulare i veicoli che stanno arrivando che c’è una difficoltà.

Sensore, io ti indosso!

Altro settore molto attivo nell’IoT è quello dei weareables, i dispositivi da indossare con un certo grado d’intelligenza e capacità di connessione. Un esempio “facile”, dato che sono sulla cresta dell’onda, sono gli orologi intelligenti (smartwatch): in questo campo sono scesi in lizza sia i grandi dell’elettronica sia brand meno noti e oggi l’offerta è molto vasta. Meno appariscenti ma ormai consolidati sono poi le fasce pettorali con il cardiofrequenzimetro e le polsiere che misurano i parametri vitali ma l’Internet delle Cose è arrivato anche ai capi di abbigliamento veri e propri, da indossare nel vero senso della parola.

La calza sportiva Sensoria, concepita da tre italiani, raccoglie dati sulla pressione che il piede esercita correndo (o camminando) grazie a tre sensori sotto la pianta. I segnali percorrono fibre conduttive (sono le linee di colore diverso) e arrivano ad una cavigliera, nascosta sotto al risvolto, che li invia tramite Bluetooth ad uno smartphone.

La calza sportiva Sensoria, concepita da tre italiani, raccoglie dati sulla pressione che il piede esercita correndo (o camminando) grazie a tre sensori sotto la pianta. I segnali percorrono fibre conduttive (sono le linee di colore diverso) e arrivano ad una cavigliera, nascosta sotto al risvolto, che li invia tramite Bluetooth ad uno smartphone.

Un esempio recente sono le calze Sensoria, nate negli USA da tre italiani ex dipendenti di Microsoft che risiedono in America e hanno creato delle calze sportive con sensori tessili sotto la pianta. I sensori misurano la pressione del piede sul terreno e inviano i dati ad una cavigliera che contiene la batteria, un accelerometro e una scheda Bluetooth. Il sistema raccoglie informazioni sull’impatto dei piedi sulla strada e le invia a un cellulare che, grazie ad una specifica app, monitorizza costantemente non solo il ritmo, la distanza e la velocità ma anche il modo con il quale si corre, evidenziando un eventuale “atteggiamento” sbagliato.

Prospettive e criticità

Molti analisti concordano sulle rosee prospettive del settore dell’IoT: questo ecosistema, anche se è sbocciato recentemente, viene indicato come in rapida evoluzione e alcuni studi prevedono che in Europa il suo tasso di crescita, in termini di valore, sarà di oltre il 20% all’anno fra 2013 e il 2020. Il numero di connessioni attive nell’Europa dei 28 aumenterà da circa 1,8 miliardi nel 2013 (anno che viene preso come riferimento) a quasi 6 miliardi nel 2020 con ricavi che andranno da 307 miliardi nel 2013 a più di 1.181 miliardi nel 2020; queste includono hardware, software e servizi. Ovviamente questi dati ottimistici possono essere inficiati da fattori contingenti: se, per esempio, la scarsa crescita economica del-l’Europa meridionale proseguisse il totale dei ricavi potrebbe fermarsi sotto i 1.000 miliardi entro il 2020. Si tratta comunque di cifre di tutto rispetto, indicative di un settore la cui espansione è pronosticata ben solida.

Una rete ZigBee è di tipo mesh e si adatta da sola ad eventuali cambiamenti nella topologia dei nodi. I “salti” fra un nodo e l’altro permettono di coprire distanze elevate con pochissima potenza e la gerarchia è piuttosto “piatta”.

Una rete ZigBee è di tipo mesh e si adatta da sola ad eventuali cambiamenti nella topologia dei nodi. I “salti” fra un nodo e l’altro permettono di coprire distanze elevate con pochissima potenza e la gerarchia è piuttosto “piatta”.

Un indicatore di quanto i Big credano in questo mercato è la recente acquisizione, da parte di Intel, del costruttore di chip tedesco Lantiq, specializzato in SoC e software di supporto “for broadband communication and digital home applications” e detentore di oltre 2.000 patents nel settore. Un esponente di Intel ha detto che entro il 2018 ci saranno più di 800 milioni di famiglie collegate in banda larga in tutto il mondo e questi chip saranno quindi molto importanti. Il fatto che nel 2014 Google aveva comprato Nest Labs, specializzata in termostati e rilevatori di fumo intelligenti, dimostra come le case smart siano viste in rapida crescita. Orizzonti rosei anche per chi fornisce connettività, cloud di dati e strumenti di analisi.

Cisco ha intervistato oltre 7.000 executive, chiedendo quali fossero, a loro giudizio, le tendenze tecniche che avrebbero guidato l’Internet of Things e i risultati, piuttosto interessanti, sono questi.

Cisco ha intervistato oltre 7.000 executive, chiedendo quali fossero, a loro giudizio, le tendenze tecniche che avrebbero guidato l’Internet of Things e i risultati, piuttosto interessanti, sono questi.

Non tutto è, ovviamente, perfetto: abbiamo già visto che esistono già 2 standard per le comunicazioni wireless fra gli oggetti, ai quali vanno sicuramente aggiunti Bluetooth e Wi-Fi. La guerra degli standard potrebbe essere violenta e non produrne, alla fine, uno condiviso, con conseguenti difficoltà nel dialogo fra i “pezzi” di produttori diversi.

I veicoli connessi si scambieranno informazioni direttamente fra loro, senza passare per una centrale di controllo, e con le infrastrutture della viabilità.

I veicoli connessi si scambieranno informazioni direttamente fra loro, senza passare per una centrale di controllo, e con le infrastrutture della viabilità.

Un’altra questione che richiede molta attenzione è la sicurezza: tutte queste connessioni, soprattutto quelle wireless, potranno essere soggette agli attacchi di hacker e pirati vari. Non sarebbe piacevole un antifurto che scattasse in piena notte, una porta che si aprisse improvvisamente o un’automobile che se ne andasse per i fatti suoi. La prevenzione è certamente il primo rimedio e riguarda ovviamente i produttori, che devono implementare e aggiornare i sistemi di sicurezza costantemente. Anche i consumatori dovranno però fare la loro parte, aggiornando software e firmware, cambiando le password ed evitando comportamenti “a rischio”.

di Nicodemo Angì


ZigBee e Z-Wave, due player importanti

Fra gli standard senza fili per far comunicare gli oggetti avevamo segnalato Z-Wave e ZigBee, entrambi in grado di generare reti mesh intelligenti. Una delle differenze maggiori è la produzione dei circuiti integrati: i chipset ZigBee sono prodotti da vari marchi, mentre quelli Z-Wave provengono da un solo fornitore, Sigma Designs. Anche la radio è diversa: se la banda base è intorno ai 900 MH per entrambi, l’intrusione nella banda dei 2,4 GHz è molto più ridotta per Z-Wave, cosa che dovrebbe renderla più immune alle interferenze. Anche la modulazione è diversa: Z-Wave si basa su Frequency-Shift Keying (FSK), mentre ZigBee utilizza il principio del Direct Sequence Spread Spectrum (DSSS), che promette maggiori doti di “robustezza”. I dispositivi ZigBee hanno più opzioni di memoria: fino a 32 kB di RAM e 512 kB di Flash per un numero di nodi teorici che arriva a 65.000 mentre quelli praticamente usabili sono 50. La memoria dei device Z-Wave vale rispettivamente 2 kB e 32 kB e quindi il numero di nodi supportati è minore rispetto allo standard ZigBee, ammontando a 232 nodi teorici e 10 effettivamente usabili. L’Interoperabilità sembra molto più sicura in Z-Wave, un sistema che non è aperto e i cui dispositivi hanno ricevitori costruiti esclusivamente con chip Sigma Designs. Esistono comunque moduli standard pronti per l’integrazione in tutti i prodotti di altri costruttori, in modo da avere molta flessibilità. I chipset ZigBee invece sono royalty free e sono aperti per modifiche e valutazioni: questo è “democratico” ma potrebbe creare problemi di comunicazione fra dispositivi di costruttori diversi. Il minore consumo energetico dei moduli ZigBee consente infine una maggiore versatilità e la facile alimentazione con batterie.

 

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