Blu-ray UHD – Luci e ombre del formato 4K

A livello hardware la presenza del 4K nelle case degli italiani è ormai una realtà nonostante il coefficiente di penetrazione sia ancora basso e ancor meno esaltante la fruizione dei dischi preregistrati. La crescita a mercato dei TV 4K c’è, i numeri sono eloquenti ma la motivazione è più legata al ricambio generazionale che alla necessità dell’utente comune di ‘quadruplicare’ la qualità delle immagini. La spinta da parte di aziende dell’intrattenimento liquido anche c’è, con Netflix in prima linea, con buon numero di produzioni e proposte a risoluzione UHD.

Focalizzando l’attenzione sul preregistrato non è certo passato inosservato lo scarso entusiasmo da parte di Sony, tra i promotori del Blu-ray 2K che contribuì alla vittoria sull’HD-DVD di Toshiba circa 10 anni fa, che solo recentemente ha annunciato il proprio player Blu-ray UHD (1).

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Il contenitore Blu-ray UHD in commercio può arrivare anche a tre layer, circa 100 Gb di spazio, e al momento non c’è regionalizzazione, per cui si possono acquistare dischi 4K da qualsiasi parte del mondo e vederli comodamente con un player europeo. Al momento non sono in commercio masterizzatori/player 4K per computer.

Un altro acquisto

Ma (ri)acquistare un Blu-ray in UHD vale la pena? Sulla carta la risposta è sì a prescindere, anche se vale altrettanto la pena fare una serie di considerazioni sulla tecnologia a partire dall’impegno di chi il film lo produce e realizza. Sono anni che si parla di phase-out e pensionamento dell’analogico e della pellicola eppure anche il 2016 è stato testimone di numerosi film realizzati in tal guisa, Tarantino ha addirittura riesumato un formato considerato (artisticamente e produttivamente) morto come l’Ultra Panavision 70 per girare il western “The Hateful Eight” (2).

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Il fatto è che l’industria dell’Home Theater ha tecnicamente compiuto balzi da gigante rispetto alla diffusione della controparte cinema, a partire dalle poche produzioni con riprese native (almeno) 4K fino alle sale con proiettori 4K e configurazioni audio state-of-the-art con DTS:X oppure Dolby ATMOS (per esempio l’Arcadia a Melzo) (3 e 4). Cinema che ancora oggi conta tante (troppe) produzioni digitali a risoluzione 2K o comunque a livello inferiore al 4K, il che porta a pensare che non valga più di tanto la pena perdere tempo nel recuperare l’ennesima copia di un film di cui si hanno nel proprio archivio precedenti edizioni.

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A fare la fondamentale differenza non è tanto la (spesso mancata) risoluzione nativa del master rispetto al Blu-ray UHD (5) quanto il salto di qualità che comporta la presenza di pannelli non più a 8 bit ma a 10 bit (per alcuni videoproiettori si arriva anche a 12 bit come per JVC) e la concomitante presenza di segnale video a 10 o 12 bit con supporto HDR. Questo comporta un enorme balzo in avanti a livello di sfumature colore: perché a 8 bit ci sono 256 step tra il valore più basso e scuro sino a quello più luminoso, mentre a 10 bit gli step quadruplicano, da 0 a 1.024 (anche se poi in realtà sono un po’ meno).

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La maggiore compressione del gamma a 8 bit comporta inevitabilmente l’innalzamento della luminosità e al tempo stesso l’impossibilità di mostrare un più ampio range di sfumature (Rec. 709) con in più la considerazione legata al software di encoding, per esempio l’H.264 dei Blu-ray 2K che lavora anche più basso rispetto alle potenzialità dell’8 bit, costretti ad aggiungere dithering e rumore video per evitare che affiorino troppo vistosamente banding e scarse sfumature (6).

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Le potenzialità tecniche del nuovo standard UHD consentono di realizzare un prodotto di qualità cromaticamente paragonabile all’originale concepito dal cinematographer, oltre alla presenza per i Blu-ray UHD della codifica video H.265 più performante dell’H.264. Ulteriori informazioni sull’approfondimento dedicato all’HDR che trovate in questo stesso numero.

Analogico amore mio

A quanto sopra detto si aggiunga il ‘fattore pellicola’. Se la ripresa è analogica la sensibilità (ASA) dell’emulsione può innescare maggiore grana: più elevati gli ASA inferiore la solidità del fotogramma, il tutto poi con la non di meno fondamentale variabile del direttore della fotografia, il quale se non ha operato al fine di rendere al meglio la luce come richiesto dal regista c’è ben poco da risaltare, HDR o non HDR. Facile quindi anche solo immaginare che film del lontano passato dove non c’era scelta sulla sensibilità della pellicola, girata interamente a 50 ASA (obbligando a mostruose illuminazioni di scena), presentino un livello di solidità maggiore già sul Blu-ray Full HD (7).

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In una moderna produzione in pellicola la presenza di maggiore grana è legata all’impiego in parte di film stock 500 ASA per situazioni a limitata illuminazione o per dare un tono antico. Tale grana non può e non deve venire considerata un difetto del disco o della codifica ma parte integrante della visione di regista e direttore della fotografia. Peggio va per le pessime decisioni di creare per l’home video nuovi master alterando l’immagine con filtri di riduzione del rumore che danneggiano i frame sino a renderli inguardabili: chi possiede le edizioni Blu-ray di “Predator” di John McTiernan o il bellico “Il giorno più lungo” lo sa bene (8 e 9).

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Effetti speciali CGI

Al giorno d’oggi l’inserimento di effetti speciali in computer grafica viene effettuato ragionando in 2K per questione di budget, per cui il girato a una risoluzione superiore viene elaborato in 2K e poi riportato alla risoluzione decisa per la distribuzione cinema e non è affatto detto che materiale a risoluzione nativa superiore al 2K giunga nella medesima misura in sala e che lo stesso master sarà poi impiegato nei Blu-ray UHD. La convergenza al momento è la seguente: se il master DCI cinema è 2K, è in genere quello chiamato in causa per il Blu-ray UHD, c’è il guadagno della profondità del colore a 10 bit ma c’è anche rescaling.
Ciò detto, la domanda comunque da porsi è più che mai: quale la risoluzione del master usato? Come e dove le color correction ad hoc per l’home video?

Quando ho per esempio tra le mani una copia di “Pacific Rim” UHD cosa devo aspettarmi dal contenuto? Purtroppo qualsiasi produttore sino a questo momento si è guardato bene dal segnalarlo sul prodotto e questo ci porta al quesito successivo: possibile che nessuno ritenga importante indicare la risoluzione del master di provenienza? No, perché (commercialmente) non conviene. Con un Blu-ray UHD non è una questione di lana caprina, oltre che di non rispetto nei confronti del consumatore. Per produzioni recentissime l’impiego dell’HDR in fase di ripresa è fondamentale mentre l’efficacia di una maggiore gamma cromatica viene drasticamente contenuta quando l’HDR viene applicato solo in fase di produzione del Blu-ray UHD.

Fatto salvo che in HDR lo spazio colore a 10 bit passa da rec.709 a rec.2020 con (potenziale) enorme salto di qualità e che la funzione di trasferimento, quella che familiarmente chiamiamo curva del gamma, è stata ottimizzata e consente di gestire livelli di luminosità fino a 10.000 nit, quale master dovrebbe essere utilizzato per l’home video (10)?

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Sempre il migliore possibile ovviamente ma (troppo) spesso con le attuali uscite si tende a encodare il medesimo impiegato per il Blu-ray 2K, sempre Full HD. “Pacific Rim” è stato girato in 5K, gli effetti speciali CGI renderizzati 2K, master cinema 2K, come quello purtroppo impiegato per il Blu-ray UHD, con aggiunta di HDR. Per questo film di Guillermo Del Toro la differenza tra disco 2K 8 bit SDR e 4K 10 bit HDR può non essere così evidente ma se si pone attenzione ai particolari in primo piano alcune differenze saltano fuori, la palette cromatica più ampia glorifica i colori originali anche se ‘pompati’ al massimo in UHD con qualche eccesso evidente, dettagli in primissimo piano ‘bruciati’ in 2K lo sono anche in 4K mentre insoliti livelli di identica luminosità in differenti punti luce nella medesima inquadratura insinuano l’idea che il girato possa non essere HDR nativo. Con un Blu-ray Full HD comunque di elevata resa ci si potrebbe trovare in imbarazzo nel giustificare il (ri)acquisto UHD mentre per contro c’è chi eccede indicando il nuovo UHD di “Pacific Rim” come disco demo.

Il risultato cambia, non sempre in meglio, quando è coinvolta la pellicola dove comunque aumentano le probabilità di un nuovo telecinema a risoluzione 4K con maggiori aspettative da parte dell’appassionato. “The Amazing Spider-Man 2” (2014) (11) secondo l’Internet Movie Database è stato girato interamente in pellicola, con film stock da 50 a 500 ASA, poi telecinemato 4K creando il master per la proiezione digitale in sala, lo stesso master coinvolto anche per il Blu-ray UHD. Il risultato in UHD è molto più evidente, con nette differenze tra risalto di elementi anche in secondo piano e ‘respiro’ dei colori rispetto alla controparte Full HD.

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Purtroppo più la produzione è vecchia e meno informazioni tecniche si trovano. Senza nemmeno arretrare troppo nel tempo un film come “The Bourne Identity” (2002) (12) l’Internet Movie Database lo segnala girato in 35 mm ma non specifica gli ASA, come per “Goodfellas – Quei bravi ragazzi” (13), mafia-movie capolavoro che il maestro Scorsese diresse nel 1989. Di questo film risulterebbe che per il Blu-ray UHD sia stato usato il telecinema 4K del 25° anniversario da cui è derivato il Blu-ray Full HD ma anche qui nessuna concreta informazione sulle emulsioni delle pellicole usate.

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Considerando il carico di grana presente pare lecito immaginare il coinvolgimento di stock film da 400 a 500 ASA (all’epoca Kodak aveva appena lanciato sul mercato la EXR 500 T – 5296, che documentazione reperibile in rete segnala come pellicola impiegata nel film). Complice la cupa e poco brillante (non in senso artistico) cinematografia di Michael Ballhaus l’opera non può risaltare come qualcuno pretenderebbe, anzi. Inoltre in questo specifico caso le potenzialità dell’HDR sembrano giocare a sfavore dell’UHD, con eccessivo risalto dei neri e differenze poco sostanziali. In alcuni punti pare addirittura avere maggiore coerenza il Blu-ray 2K SDR, ma come si fa a ipotizzare un inefficace color grading del master 4K quando voci sul Web parlano di supervisione al telecine dello stesso Scorsese?

Anomalie UHD

Nel remake de “I magnifici 7” di Antoine Fuqua (14), recentemente distribuito da Sony Pictures HE, il regista ha impiegato unicamente pellicola, spaziando da 50 a 500 ASA innescando grana per un buon tono rétro. Nonostante il Blu-ray UHD sia ripetutamente segnalato sul Web come da riferimento, la visione riserva un’amara sorpresa sul livello della luminosità eccessivamente bassa, come se fosse stata eseguita una superficiale color e gamma correction: nei passaggi più bui ci sono pesanti affogamenti e diventa difficile distinguere gli elementi inquadrati, a questo si aggiunga un fastidioso altalenio della luminosità al capitolo 13, nella sequenza del saloon, ‘difetto’ presente anche sul più luminoso e vedibile Blu-ray Full HD.

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A completare il quadro negativo la centralizzazione del prodotto con produzione di un unico Blu-ray UHD per tutti con una pletora di tracce audio penalizzando tutte le lingue eccetto l’inglese (ATMOS), costringendo ad accontentarsi di una misera codifica audio AC-3 5.1 a 384 kbps. Solo negli ultimissimi Blu-ray UHD è notabile una maggiore localizzazione del prodotto, come per “The Bourne Supremacy”, “The Bourne Legacy” e “The Bourne Ultimatum” dove la traccia in italiano è DTS 5.1 canali lossy oppure “Pets – Vita da animali” dove abbiamo almeno il Dolby Digital Plus 7.1 a 640 kbps.

“The Bourne Identity” di Universal Pictures è stato girato interamente in 35mm ma non siamo però a conoscenza del grado di sensibilità delle pellicole: benché risulti più coerente la palette cromatica sul Blu-ray UHD grazie all’HDR, si evidenzia un inferiore grado di contrasto probabilmente legato all’invasivo impiego di filtro digitale di riduzione del rumore video, penalizzando pesantemente il livello di definizione al punto che anche in primo piano il dettaglio è abbattuto e risulta superiore la controparte Blu-ray Full HD.

Se è vero che non è tutto oro quello che luccica l’eccellenza nei Blu-ray UHD c’è già; tra i titoli tecnicamente di rilievo a livello immagine segnaliamo senza meno l’edizione americana reference di “Sicario” di Denis Villeneuve piuttosto che “The Revenant”, almeno questo disponibile anche in Italia grazie a 20th Century Fox HE (15 e 16).

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In attesa che le aziende offrano al più presto anche agli italiani Blu-ray UHD con codifiche audio DTS:X o Dolby ATMOS, riteniamo che il salto tecnico-qualitativo tra Blu-ray Full HD e Blu-ray UHD è sì potenziale ma in questa prima fase di vita del supporto ‘4K’ affatto garantito, più che mai direttamente proporzionale all’investimento industriale in termini di risorse, know-how specifico e budget, con ancor più incognite rispetto al mondo Full HD e maggiore rischio di portare alla luce errori della filiera produttiva, a partire dalle riprese sino alla produzione del master per l’home video con fault in color e gamma correction.

Claudio Pofi

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