Fedeli alla filosofia di tutte le riviste edite dalla NewMediaPro, basata sull’approccio scientifico delle misure unitamente alla valutazione soggettiva delle prestazioni, iniziamo da questo numero, primi in Europa (e forse nel resto del mondo…), ad effettuare test quantitativi sulle funzionalità legate alla riproduzione della terza dimensione.
Non ce ne vogliano i “guardoni”, intesi naturalmente come omologhi degli “ascoltoni” dell’hi-fi… Ma non potevamo esimerci dall’approcciare a modo nostro, strumenti alla mano, la nuova tecnologia del 3-D. Allo scopo, grazie alle idee del nostro direttore tecnico, l’incomparabile Fabrizio Montanucci, ed alle capacità progettuali dei nostri collaboratori, in questo caso nella persona di Roberto Montecchia, abbiamo messo a punto un dispositivo che, nato per misurare il rapporto di contrasto degli occhialini, ci sta dando la possibilità di addentrarci in un modo del tutto nuovo nel funzionamento dei display.
Le tecnologie attualmente impiegate per la stereoscopia obbligano l’utilizzatore ad indossare degli occhiali affinché sia possibile percepire la profondità. Se per i proiettori sono aperte sia la strada degli occhialini passivi che quella dei dispositivi attivi, per le TV a schermo piatto il futuro (a meno di improbabili, almeno al momento, rivoluzioni tecnologiche) sembra essere solo quello dell’occhialino attivo. Se dei display, ormai da parecchi anni, siamo soliti misurare la luminosità massima, il livello del nero, oltre alla linearità e all’uniformità, ci siamo chiesti se fosse possibile effettuare dei test simili sugli occhialini, per vedere ad esempio in che misura attenuano la luminosità generata dal display, in che misura sono in grado di bloccarla, in altre parole, cioè, quale sia il loro rapporto di contrasto. Oppure esaminarne il duty cycle, ovvero le modalità e le tempistiche di apertura e chiusura di ciascuna lente (mi verrebbe da dire ciascun “occhio”). Questa è l’idea di base, e per metterla in pratica il nostro Roberto ha realizzato un sensore di luminosità basato su fototransistor, del quale trovate nel riquadro lo schema elettrico e qualche nota sul funzionamento. Avendo in mano questo “occhialometro”, ci siamo resi conto del fatto che ci consentiva di “guardare” dentro il funzionamento dei display in un modo del tutto diverso da quello dei soliti fotocolorimetri. La differenza sostanziale è che questi ultimi forniscono una lettura precisa sia dell’intensità dell’emissione luminosa sia delle sue connotazioni cromatiche tramite un’acquisizione lenta del segnale, che dura svariati secondi, mentre il nostro occhialometro fornisce una indicazione qualitativa ma istantanea del livello della luce che lo raggiunge; collegandolo ad un oscilloscopio, possiamo vedere in tempo reale il livello di luminosità di un punto del display, permettendoci, grazie alla larghezza di banda consentita dall’oscilloscopio stesso, di arrivare a vedere ad esempio i singoli subfield che compongono un frame di un pannello al plasma o di misurare la frequenza dello scanning backlight di un LCD. Ma andiamo con ordine.
Misura dell’attenuazione
Per misurare l’attenuazione introdotta dagli occhialini occorre innanzitutto rilevare il livello di luminosità emesso dal display. Allo scopo inviamo alla TV, impostata in modalità 3-D, un pattern bianco, determiniamo con l’occhialometro l’intensità luminosa emessa, quindi ripetiamo la misura collocando gli occhialini davanti al sensore. È così immediato calcolare l’attenuazione percentuale causata dagli occhialini. In teoria ci sarebbe un altro modo, apparentemente più semplice, di procedere, ovvero quello di utilizzare una sorgente luminosa esterna, come ad esempio un LED (nello schema elettrico ci sono), come sorgente di riferimento per la misura con e senza occhialini.
In realtà questo approccio porta a risultati imprecisi quando si ha che fare con display a cristalli liquidi, perché la luce emessa dal display è polarizzata. Questa luce entra tutta nel sensore dell’occhialometro, come anche tutta entra nell’occhiale. Usando un LED, che emette luce non polarizzata, accade che questa viene interamente rilevata dal sensore, ma solo una parte entra effettivamente negli occhiali. L’attenuazione rilevata verrebbe quindi ad essere maggiore del reale. Nel caso dei display al plasma invece le due modalità, utilizzo del display o di un LED come sorgente di riferimento, dovrebbero portare allo stesso risultato.
Misura del contrasto
Procedendo come nel caso della misura dell’attenuazione, invece di fissare l’attenzione sulla lente “aperta” si misura l’intensità luminosa indesiderata che passa attraverso la lente “chiusa”. Il rapporto tra la luminosità massima consentita e la minima ottenibile è in effetti il contrasto fornito dagli occhiali. Ma questo dato non va inteso allo stesso modo di quello di un display. Infatti, supponendo (com’è logico) che gli occhiali attenuino il picco del bianco ed il livello del nero nella stessa percentuale, il rapporto full on/full off del display non è alterato dalla presenza occhiali. Il contrasto che misuriamo sugli occhiali invece è di fatto correlato con il cross-talk, perché il “livello del nero” degli occhialini (ovvero la quantità di luce che passa attraverso la lente chiusa) è a tutti gli effetti luce destinata ad un occhio che invece va a finire sull’altro. In altre parole questo rapporto tra intensità luminose (quella che passa dalla lente aperta e quella che filtra dalla lente chiusa) è indice, in qualche modo, della “pulizia” della resa stereoscopica (e non della qualità delle immagini percepite dal singolo occhio).
Duty cycle
Se davanti ad una delle lenti dell’occhialino (posto sul nostro sensore) collochiamo una sorgente di luce fissa (un LED) è possibile esaminare la durata e la forma della finestra di apertura, ponendola in relazione col segnale emesso dal display (che si può catturare, o almeno intuire, con l’altro fototransistor di cui il nostro occhialometro dispone). Questa è una misura qualitativa, che dà un’idea del funzionamento del sistema display+occhiali.
Altri campi di sperimentazione
Come accennavo in apertura, porre il nostro occhialometro davanti ad un display è fonte di meraviglia, perché ci consente di vedere cose che non avevamo mai visto. Esaminare l’andamento nel tempo della luminosità emessa da un display, anche semplicemente in modalità 2D, serve ad arricchire il nostro bagaglio di conoscenze e a comprendere meglio il (misterioso) funzionamento dei display. Un esempio banale può essere quello dei 12 subfield di uno schermo al plasma. Ma anche vedere l’emissione di un CRT è una esperienza didattica. O vedere come un LCD gestisce la luminosità emessa lavorando sulla modulazione della retroilluminazione (anche se all’atto pratico è difficile separare il contributo del pannello da quello della lampada). Oppure “vedere” lo scanning backlight. Allo scopo è sufficiente ruotare di 90° il sensore, in modo che i due fototransistor siano allineati verticalmente e non più orizzontalmente. Se in orizzontale vedono esattamente la stessa cosa (ovvero la luce emessa dal pannello all’altezza del sensore), in verticale, in presenza di scanning backlight, i segnali dei due fototransistor si sfasano. Misurando tale sfasamento, poiché è nota la distanza tra i due sensori, si calcola la “velocità” dell’onda luminosa che percorre lo schermo dall’alto in basso. Nota l’altezza dello schermo, diviene immediato calcolare la frequenza di refresh dello scanning backlight. E ovviamente questi sono solo alcuni esempi, le possibilità di impiego sono chissà quante, ed anzi, vostri eventuali suggerimenti saranno i benvenuti. È interessante, ad esempio, visualizzare, sempre in side by side, un pattern composto per metà da bianco e per metà da nero, in modo che ad un occhio corrisponda una schermata bianca all’altro una nera. Questo pattern può essere usato allo stesso modo di quello bianco per rilevare attenuazione e contrasto, e in alcuni casi ha evidenziato anche dei comportamenti anomali (presenza di luminosità indesiderata durante la visualizzazione del frame nero, con risvolti negativi in termini di crosstalk).
Qualche osservazione finale. L’esame dell’emissione luminosa dei display ha evidenziato che questa è fortemente modulata; ovvero non ci troviamo in presenza di segnali dalla forma di onde quadre, ma la cui forma è piuttosto complessa. Bisogna poi tenere bene a mente, quando si esaminano le schermate dell’oscilloscopio, che quello che i fototransistor vedono è solo una porzione dello schermo e che, in presenza di gestioni sofisticate della retroilluminazione, il livello in una zona non è lo stesso di altre parti dello schermo. Un’ultima considerazione riguarda l’energia luminosa emessa, che è l’integrale delle curve che il nostro sensore ci consente di vedere, ma nei nostri ragionamenti su attenuazione e contrasto ci limitiamo a considerare il solo livello massimo; in realtà occorrerebbe considerare gli effetti combinatati sull’occhio di intensità e durata, ma questo andrebbe ben oltre le nostre capacità (e anche oltre le nostre intenzioni ed esigenze di chi ci legge…). Non dimentichiamo infine che per le rilevazioni utilizziamo un pattern bianco visualizzato in 3-D come side by side. L’informazione inviata a ciascun occhio è quindi una schermata del tutto bianca, che in effetti rappresenta per l’occhiale il caso peggiore. Non che questo modifichi la sostanza del discorso, ma per completezza espositiva mi è parso opportuno specificarlo.
Conclusioni
È ancora troppo presto per esprimere opinioni sui risultati ottenuti, dal momento che abbiamo alle spalle una casistica ancora troppo limitata. Con il tempo, quando avremo osservato un numero significativo di apparecchi, saremo in grado di valutare se un sistema (display+occhiale) si comporta in maniera più o meno efficiente dei suoi concorrenti, o se magari utilizza soluzioni tecniche inconsuete tese a migliorare qualche aspetto della riproduzione. Naturalmente l’esperienza che accumuleremo ci servirà per sviluppare, modificare, affinare, rivedere queste procedure, che sono ancora allo stato embrionale, ma nondimeno ci sembrano interessantissime, perché in effetti ci mostrano qualcosa di nuovo, mai visto prima. Vedremo col tempo se e quanto queste informazioni siano rilevanti.
di Mario Mollo
su Digital Video 125 settembre 2010