Tecnologia DLP

Per lungo tempo, la tecnologia DLP è stata la miglior tecnologia disponibile per i sistemi di videoproiezione digitali, ed è ancora oggi lo standard ufficiale del Cinema Digitale, nella versione 3 chip. A parte il circuito Sony-Columbia, che ha preferito adottare una tecnologia proprietaria basata su una rivisitazione del sistema LCOS.
Vediamo insieme cosa è la tecnologia DLP, e come funziona.

Rappresentazione digitale delle immagini: digitalizzazione

Architettura 3 chip: facile riconoscere in figura il chip relativo al singolo colore.

Architettura 3 chip: facile riconoscere in figura il chip relativo al singolo colore.

Il fenomeno della digitalizzazione, ovvero trasformazione delle informazioni in pacchetti di numeri (da “digit”, che in inglese significa “numero”), ha ormai invaso tutti i settori della nostra vita, rendendo molto più facile e veloce il trattamento delle informazioni di qualunque tipo. Non è mio scopo discutere della qualità oggettivamente raggiunta utilizzando questa tecnica, sono perfettamente consapevole che molte volte il suddetto aumento di praticità nella gestione delle informazioni ha condotto ad un peggioramento della qualità (penso ad esempio all’utilizzo dilagante della compressione con perdite nel settore Audio), ma è innegabile il risultato eccellente ottenuto dal punto di vista pratico, con archivi che occupano pochissimo spazio (quanto è grosso un Hard Disk da 2 Tera-byte?) e possono essere trasmessi da un continente all’altro quasi istantaneamente.
Nel settore delle immagini, il passaggio al digitale avviene suddividendo la scena di partenza in tanti puntini, e andando a definire per ciascun puntino i valori di luminosità e di colore. Ovviamente, ad un maggior numero di puntini corrisponde una immagine dove la “pixellation”, o tassellatura, è meno visibile. In pratica, più i puntini sono piccoli e meno risultano visibili, con risultati che si avvicinano di più alla foto analogica dove i puntini non ci sono. Questo parametro può essere variato cambiando la risoluzione cosiddetta “reale”, ovvero la risoluzione effettiva dell’immagine digitalizzata. I puntini vengono definiti “pixel”, contrazione dei termini inglesi “picture” ed “element”, elementi dell’immagine, motivo per cui la risoluzione viene espressa in pixel; in particolare, si usa scrivere prima i pixel che costituiscono la singola riga, poi il simbolo x, e poi il numero delle righe: 1024×768 (768 righe da 1024 pixel ciascuna), oppure 2048×1080 e così via.

Architettura single chip. La struttura è leggermente più complessa, ma in cambio si riesce ad utilizzare un solo chip.

Architettura single chip.
La struttura è leggermente più complessa, ma in cambio si riesce ad utilizzare un solo chip.

Una volta trasferita la nostra immagine nel mondo numerico, con una risoluzione reale di un certo tipo, diventa possibile elaborarla, ovvero far passare i numeri che la costituiscono attraverso operatori matematici che possono anche diminuire oppure aumentare il numero dei pixel, cioè cambiare la risoluzione sia in diminuzione (riduzione di qualità) che in aumento, ma anche in questo settore vige la regola che difficilmente il risultato di una elaborazione sarà migliore del materiale di partenza. I punti utilizzati per aumentare artificialmente la risoluzione vengono calcolati da una funzione matematica, e non sempre coincidono perfettamente con quelli che avrebbe registrato una fotocamera con una risoluzione maggiore. I pixel aggiuntivi sono “calcolati” e non “reali”, e molto spesso il miglioramento complessivo non è apprezzabile. Mentre l’aumento delle dimensioni dell’immagine in termini di megabyte è evidente e tangibile, per cui ritengo opportuno mettere in guardia rispetto all’utilizzo di funzioni di up-scaling: fate molta attenzione al rapporto tra aumento percettibile della qualità rispetto al materiale di base, e aumento del “peso” del file, in molti casi scoprirete che il gioco non vale la candela.

DLP, basato su DMD

Come è fatto un sistema DLP? Esso si basa su un chip (circuito integrato a base di semiconduttori) costituito da specchietti microscopici: le dimensioni attualmente più usate per un chip Full HD sono 0,98 pollici, ovvero 2,49 mm di diagonale, come a dire che, a spanne, un microspecchio misura meno di 1,13×1,13 micron (millesimi di mm)!!! Provate un po’ ad affermare che riuscite a vederlo?
DMD sta per Digital Micromirror Device, dispositivo a microspecchi, ed è nella pratica il chip che sta alla base della tecnologia DLP, Digital Light Processing, elaborazione numerica della luce. Una delle differenze fondamentali tra la tecnologia DLP e le tecnologie concorrenti è che i microspecchi, essendo per l’appunto specchi, riflettono la luce, e non vengono attraversati da essa. Si tratta in sostanza di una tecnologia “riflessiva”, basata sulla riflessione, al contrario delle tecnologie “trasmissive”, cioè basate sulla trasmissione della luce, che deve “attraversare” dei dispositivi opportuni per essere modulata.
Sembra un’inezia, ma non è così: si tratta di un vero e proprio abisso tecnologico, tanto più profondo in quanto dovuto proprio all’architettura costitutiva del sistema, e non ad artifici esterni.
Pensate soltanto alla enorme differenza che si osserva quando è necessario visualizzare un pixel completamente nero: un chip DLP fa inclinare lo specchietto relativo in posizione OFF, ovvero luce riflessa verso un opportuno assorbitore luminoso.

Architettura single chip, in un disegno schematico probabilmente più comprensibile.

Architettura single chip, in un disegno schematico probabilmente più comprensibile.

Le cosiddette tecnologie “trasmissive”, invece, per fare un pixel Nero sono costrette a bloccare la luce al loro interno, per poi smaltirla sotto forma di calore.
Quando i punti neri in una immagine diventano tanti, e magari permangono per lungo tempo, le tecnologie trasmissive sono costrette a bloccare tanta luce e per questo motivo si riscaldano parecchio, talmente tanto che spesso si preferisce non bloccare completamente la luce, ma lasciarne passare un po’ in ogni caso, perdendo profondità nel Nero che risulta sollevato, tendenzialmente grigiastro.
Per il DLP, invece, si tratta semplicemente di cambiare inclinazione allo specchio, da stato ON a stato OFF, null’altro.
Adesso, riuscite a vedere l’abisso che distanzia le trasmissive dal DLP?

Architettura single chip.

Architettura single chip.

Ma cosa sono questi stati ON e OFF? Ap-profondiamo il concetto.
Dicevamo che il chip DMD è costituito da microspecchi; bene, questi microspecchi sono incollati ciascuno ad una specie di “gambo”, detto menisco, che ne consente due possibili inclinazioni rispetto alla posizione perfettamente planare e parallela alla superficie del chip.
Immaginiamo una specie di “fungo” microscopico, con un cappello piattissimo e riflettente: questo è in sintesi un microspecchio con il suo menisco. La superficie dello specchio è metallica, per cui un opportuno campo elettromagnetico consente di far inclinare lo specchio da una parte oppure dall’altra, ovvero:

  • Stato ON – luce riflessa verso l’obiettivo, quindi verso lo schermo, punto luminoso;
  • Stato OFF – luce riflessa verso l’assorbitore luminoso, quindi trattenuta all’interno, punto nero.
Struttura interna di un chip DMD: in figura è possibile vedere i microspecchi, apprezzandone la disposizione e le dimensioni.

Struttura interna di un chip DMD: in figura è possibile vedere i microspecchi, apprezzandone la disposizione e le dimensioni.

La distanza tra le inclinazioni relative ai 2 stati si misura in gradi, e la più recente generazione di chip DMD riesce a ruotare i microspecchi di 12° (chip 12°), mentre la precedente era limitata a 10° (chip 10°). Maggiore è l’inclinazione, migliore è la distanza tra il Bianco (On) ed il Nero (Off), ovvero il rapporto di contrasto è più elevato.

Stati On e Off: allo scorrere dei bit, gli specchietti oscillano tra le due posizioni estreme loro permesse, trasformando l'informazione numerica in modulazione della luce.

Stati On e Off: allo scorrere dei bit, gli specchietti oscillano tra le due posizioni estreme loro permesse, trasformando l’informazione numerica in modulazione della luce.

Perché riflettere è meglio che trasmettere

Lavorando accuratamente con l’assorbitore luminoso e le maschere di schermo dell’obiettivo, è possibile ottenere un livello del Nero molto basso, realistico, almeno un ordine di grandezza più basso di quello delle tecnologie trasmissive, senza utilizzare orpelli stregoneschi tipo Contrasti “Dinamici”, Iris motorizzati a tachioni oppure alabarde spaziali taglia-fotoni. Ci si arriva in modo assolutamente naturale e relativamente indolore per l’insieme dei componenti che costituiscono il videoproiettore, del tutto indolore per il chip DMD. Nessuna fatica nel fare questo, e garanzia di lunga durata nel tempo dei componenti interni, ecco perché si dice che il DLP sia “quasi eterno”: 100.000 ore di vita ufficialmente dichiarate per il chip non sono bruscolini!!!
Le tecnologie trasmissive invece, con tutta la buona volontà, nella maggioranza dei casi dichiarano un tempo di vita inferiore, nell’ordine di qualche decina di migliaia di ore, trascorse le quali, ahimè, si fa prima a buttare tutto e ricomprare piuttosto che riparare. Ma abbiamo grandi speranze nella ricerca e sviluppo di aziende come Sony, che ce la stanno mettendo tutta per risolvere anche questo problema. Staremo a vedere.

Struttura di un microspecchio, relativo all'epoca in cui si inclinavano di soli 10°, con accanto una fotografia al microscopio.

Struttura di un microspecchio, relativo all’epoca in cui si inclinavano di soli 10°, con accanto una fotografia al microscopio.

Come si formano le immagini ed i colori

Scommetto che cominciate ad intuire come si formano le immagini, ma ancora non è chiaro come si riesca a modulare la tonalità del singolo pixel, in una tecnologia che non modula l’intensità luminosa in maniera tradizionale: abbiamo parlato soltanto di stato ON e di stato OFF, cioè di Bianco e di Nero, ma come si formano le tonalità intermedie?
Partiamo dal caso più semplice, ovvero immagini in sfumature di grigio con architettura a chip singolo: le sfumature di grigio di un singolo pixel non vengono più visualizzate modulando in un solo passaggio la luce diretta verso di esso, bensì alternando degli stati di ON e di OFF a velocità elevatissima ed in quantità tale da ottenere come risultato proprio la sfumatura di grigio desiderata.
In pratica: se voglio un Bianco massimo in quel pixel, e faccio compiere al sistema 1 milione di oscillazioni al secondo, sarà sufficiente tenere il pixel sempre in posizione ON per un milione di volte, ed il punto corrispondente sullo schermo risulterà sempre illuminato al massimo, ossia Bianco a massima potenza.

Simulazione al CAD della struttura di un microspecchio, ossia un pixel di un chip DMD.

Simulazione al CAD della struttura di un microspecchio, ossia un pixel di un chip DMD.

Se voglio il Grigio 50%, terrò lo stesso pixel mezzo milione di volte in posizione ON e mezzo milione di volte in posizione OFF, se voglio un Grigio 80% invece 800.000 volte su ON e 200.000 su OFF e così via. In pratica, i microspecchi oscillano talmente veloci che risulta facilissimo controllare l’intensità del singolo pixel tramite successione controllata di stati ON e OFF nell’unità di tempo. I tempi di commutazione tra uno stato e l’altro, tanto per avere un riferimento, sono dell’ordine della decina di microsecondi.
I tempi di commutazione dei cristalli liquidi, nei casi migliori, sono invece dell’ordine dei millisecondi, cioè circa 100 volte superiori, e quindi i cristalli liquidi sono evidentemente più lenti.
E questo è un altro vantaggio del DLP: la maggior velocità del chip DMD ha consentito di implementare la tecnologia 3-D Attiva (commutazione alternata della visione degli occhi) in maniera decisamente più efficiente, andando a ridurre i tempi di blanking (momento in cui entrambi gli occhi sono “chiusi” dagli occhialini attivi) a valori decisamente inferiori rispetto alle tecnologie concorrenti, anche quelle che dichiarano frequenze fantasmagoriche e refresh rate a velocità superiore a quella della luce. La differenza di velocità è costruttiva e scientificamente misurata, ed è alla base di tutto il funzionamento del sistema di modulazione della luce nei DLP.
Riuscite ad intuire come si formano le sfumature di colore?
Se partiamo dal caso dell’architettura a 3 chip, è molto semplice: ciascun chip DMD riceve un fascio di luce colorata del colore che deve modulare, per cui genera una immagine Blu, Rossa oppure Verde e quindi ciascun pixel realizza sullo schermo un puntino con la giusta sfumatura del colore corrispondente, tramite il medesimo sistema dell’alternanza velocissima tra stati ON e OFF nell’unità di tempo, stavolta applicata al singolo colore primario e non più al Bianco, dopo di che i 3 fasci vengono perfettamente “collimati” (sovrapposti) nel prisma ad X che si trova prima dell’obiettivo, ed il fascio risultante che contiene l’immagine complessiva, con tutte le sue sfumature di colore per ciascun pixel, viene spedito fuori attraverso l’obiettivo che lo focalizza sullo schermo di proiezione.
L’architettura DLP a 3 chip spedisce verso lo schermo immagini, ove tutti e 3 i colori atterrano contemporaneamente su tutti i pixel, fotogramma dopo fotogramma.
A dirla così sembra facile, quasi banale, eh?
Aggiungo che l’architettura DLP a 3 chip è anche quella più efficiente, nel senso che, a parità di lampada, è quella che consente di convogliare verso lo schermo una quantità di luce decisamente maggiore rispetto a tutte le altre soluzioni, e quindi, volendo, si può definire come la tecnologia “più ecologica” di tutte, ad elevata efficienza energetica.
Non è un caso che Hollywood abbia deciso di adottare proprio questa architettura, e soltanto questa, per effettuare la migrazione dalla pellicola verso il digitale.

Fotografia microscopica, e disegno CAD, che rappresentano la sezione trasversale di un microspecchio.

Fotografia microscopica, e disegno CAD, che rappresentano la sezione trasversale di un microspecchio.

Architettura a chip singolo

È opportuno spendere qualche parola anche su questa configurazione alternativa, sicuramente la più economica tra quelle disponibili basate su DLP, che consente da un certo punto di vista di “evitare” alcune complicazioni come la necessità di far convergere esattamente i 3 fasci colorati riflessi dai 3 chip DLP uno sull’altro nelle immagini, che si traduce in complesse procedure di allineamento dei 3 chip che rendono tali macchine complicate, onerose da un punto di vista produttivo, anche se nello stesso tempo sono molto efficienti a parità di sorgente luminosa, molto accurate nella colorimetria ed assolutamente prodotti “d’élite” rispetto ai single chip.

Un chip DLP.

Un chip DLP.

Nel caso dei proiettori DLP mono chip, i 3 colori vengono generati tramite un filtro dicroico (cioè un filtro che riesce a “colorare” la luce bianca, o ad estrarre dalla luce bianca soltanto i fotoni che oscillano a determinate frequenze ottiche, se preferite) che ha la particolarità di essere in movimento, velocissimo: è una ruota con segmenti colorati, che gira a circa 6.000 giri/minuto o Rpm, se preferite.
E quindi, riesce a colorare la luce di Rosso, di Verde oppure di Blu in successione velocissima, talmente veloce che l’occhio non se ne accorge, e questi brevissimi lampi di luce colorata vengono spediti al chip DMD che provvede alla loro modulazione istantanea, in accordo con il contenuto cromatico del singolo pixel dell’immagine.
Sì, lo so che qualcuno soffre a causa della visione del cosiddetto “Effetto Rainbow”, inevitabilmente presente nei DLP single chip e dovuto proprio alla combinazione tra il movimento del bulbo oculare, lo sbattimento delle ciglia e l’alternanza dei colori sullo schermo (possiamo vederlo artificialmente passando davanti all’occhio una mano con le dita semiallargate), ma d’altro canto devo anche sottolineare che alcune soluzioni innovative consentono di ridurre di molto tale effetto, e che questo non pregiudica la validità del ragionamento generale in merito alla visibilità del colore complessivo del singolo punto dell’immagine.
Come potete intuire, per il chip DMD è effettivamente una passeggiata far oscillare i microspecchi a velocità adeguata a tener conto anche dell’alternanza dei colori, infatti riesce a compiere molte oscillazioni mentre passa il singolo colore, non una sola, ma mettere a punto il sistema di analisi del segnale sorgente e sincronizzazione della lampada (che funziona in alternata) con la velocità di rotazione della Color Wheel è una questione molto complicata. Un delicato equilibrio di variabili, che devono essere perfettamente ottimizzate tra di loro per ottenere una buona colorimetria, un bel Bianco potente, una scala dei Grigi neutra e coerente con la coordinata del Bianco, la possibilità di avere una bella saturazione dei colori, una silenziosità adeguata e, complicazione ulteriore che si è aggiunta negli ultimi tempi, una buona visualizzazione di contenuti 3-D, possibilmente visualizzati almeno a 2,5x rispetto alla velocità del film in ingresso.
I pregi di questa architettura rispetto al modello 3 chip sono sicuramente la convergenza intrinseca dei 3 colori, cioè la loro perfetta sovrapposizione sullo schermo senza la necessità di sofisticate procedure di allineamento dei chip (per forza, il chip è uno solo ed i colori si alternano nel rimbalzare su di esso: ci mancherebbe anche che non fossero perfettamente sovrapposti) e il minor costo derivante dall’usare 1 solo chip al posto di 3, per il resto, se la lampada è uguale il consumo è uguale, l’efficienza è sicuramente inferiore a quella di un 3 chip, quindi la luce emessa è minore (una parte viene assorbita dalla ruota colore), ma le dimensioni sono più compatte ed il peso è sicuramente inferiore. Un prodotto più economico, insomma, ma non per questo meno valido.
Osservate con i vostri occhi, e guardate sempre bene prima di condannare in maniera definitiva: potreste avere delle piacevoli sorprese!

Segreti industriali

Se sperate che io vi riveli in questo capitolo informazioni che possano far decuplicare il vostro conto in banca, beh, siete fuori strada.
Lo scopo dichiarato è quello di individuare alcune delle aree che costituiscono un po’ il segreto delle industrie che producono videoproiettori DLP, in cui le diverse soluzioni adottate portano a definire le diverse “ricette magiche” delle quali nessuno parla volentieri, ma che devono al prodotto la cosiddetta “impronta di famiglia”.
Nei single chip, ad esempio, uno dei punti più critici è proprio la ruota colore: le dimensioni del singolo segmento non sono uguali tra loro, e non sono uguali per tutti i costruttori.
Utilizzare una ruota a 4 segmenti piuttosto che una ruota a 5, 6 o 7 segmenti, conduce a colorimetrie anche molto diverse tra loro. Un segmento più corto consente di avere una velocità maggiore di alternanza, ma una saturazione colore inferiore. Ripetere 2 volte i colori sulla ruota (6 segmenti) riduce di molto la presenza di effetto Rainbow. Ciascuno sceglie la propria caratteristica, e questa va a costituire una sorta di “firma del produttore”.

Ruota colore vera: notate le dimensioni dei segmenti.

Ruota colore vera: notate le dimensioni dei segmenti.

La vernice colorata che ricopre i segmenti della color wheel si comporta come un filtro passa-banda a frequenza ottica: ogni vernice colorata conferisce una impronta colorimetrica differente a tale filtro.
Un altro elemento critico è la lampada: lampade differenti conducono verso livelli di affidabilità, luminosità e spettro colore differenti. Nello stesso tempo, le dimensioni fisiche della lampada possono essere fondamentali per ottenere ingombri super compatti oppure decidere di realizzare macchine notevolmente più ingombranti.
Algoritmo di regolazione dei colori: ci sono aziende che hanno investito parecchio per svincolarsi dal software di base e sviluppare in proprio un algoritmo più accurato. Ed i risultati si vedono.
Ottica finale: anche questo elemento influenza pesantemente la visione, ad esempio in termini di uniformità di messa a fuoco, mentre la caratteristica di “Color Separation” della lente ha effetti visibili sull’immagine. Altro parametro molto evidente è l’attenuazione della luce dovuta alla lente: materiali meno nobili del vetro hanno coefficienti di trasparenza inferiori, con la conseguenza di una perdita di luminosità e di una qualità immagine inferiore.
Percorso ottico, detto anche “Light Path”, è un altro punto nodale nella struttura interna di un proiettore DLP: esso ha una grande importanza nel determinare l’uniformità di illuminazione dello schermo. In particolare, più risulta lungo, e più i fotoni si spalmano in maniera uniforme attraverso la sezione. L’italia-na SIM2, ad esempio, è diventata famosa nel mondo anche per aver brevettato il rinomato percorso ottico ad Alpha, detto “Alpha Path”: si tratta di un percorso ottico arrotolato su se stesso, dove la luce compie un rimbalzo sullo specchio e poi un altro rimbalzo sul chip DMD prima di uscire, in modo da occupare il minimo spazio possibile, ottenendo così dei videoproiettori 3 chip che risultano i più piccoli e più luminosi disponibili nel mercato.

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Ruota colore ad elica: alcuni costruttori la stanno usando, perché sembra che riduca moltissimo l'effetto Rainbow.

Ruota colore ad elica: alcuni costruttori la stanno usando, perché sembra che riduca moltissimo l’effetto Rainbow.

Ultime novità in tecnologia DLP

Picoproiettori

Sono dei veri e propri proiettori tascabili, con risoluzione non eccezionale, quasi sempre SVGA (800×600) oppure al massimo XGA (1024×768).
Hanno una luminosità ovviamente modesta, pari a qualche centinaio di lumen, sono illuminati con dei LED al posto della lampada, ma la buona notizia è che sono veramente tascabili, e fanno molta scena quando ci si trova al cospetto di 1, massimo 2 persone in una stanza non troppo illuminata. Un “must-have” per qualunque manager dotato di Power-Book.

Esempio di picoproiettore LED integrato nel cellulare.

Esempio di picoproiettore LED integrato nel cellulare.

Ottica di un picoproiettore.

Ottica di un picoproiettore.

Videoproiettori LED

I LED stanno soppiantando le lampade come sorgente di illuminazione, nel segmento delle luminosità nei dintorni dei 1.000 lumen, per il momento. Diversi costruttori si sono cimentati nell’opera, con risultati non sempre all’altezza, soprattutto in termini di luminosità effettiva sullo schermo ed uniformità di illuminazione. I LED sono sorgenti luminose eccezionali, ma devono essere trattati con cura e ben gestiti, pena un colorimetria che troppo facilmente tende al “ruffiano” ed all’effetto “Cartoon”. Fino ad oggi, ho visto tanti videoproiettori LED, ma veramente 2, massimo 3 in tutto che riuscissero a rendere una colorimetria “Naturale”, ad “Alta fedeltà Cromatica”.

Diagramma di massima  di un videoproiettore LED.

Diagramma di massima di un videoproiettore LED.

Anche perché, per dirlo proprio chiaro e senza peli sulla lingua, risulta molto facile spingere al massimo la potenza dei colori primari, visto che le sorgenti luminose sono proprio 3 LED colorati di Rosso, Verde e Blu, tentando in questo modo di sopperire alla cronica e manifesta mancanza di energia sul Bianco, che invece dovrebbe essere il colore la cui energia vale 100, e sulla base di questa si dovrebbero regolare l’energia del Verde circa a 72, quella del Rosso circa a 20 e quella del Blu circa ad 8. Le proporzioni reali variano a seconda della temperatura colore scelta, ma si possono reperire con facilità
Certo è che, nel momento in cui gli spettatori dimostrano di preferire il “Color Boost” all’alta fedeltà cromatica, i costruttori di videoproiettori si sentono autorizzati, per andare incontro ai gusti del pubblico, a spingere al massimo ogni singolo colore, a dispetto delle norme consuete.
In questi casi niente può prevalere sull’opinione del pubblico sovrano, disposto a spendere di più pur di portarsi a casa un proiettore con i colori sparati. Vuoi il “Color Boost”? Eccolo qua, mezzo chilo di “Color Boost” regolabile a step di un etto ciascuno, e si vendono 10 proiettori al mese in più rispetto alla concorrenza. Leggi di mercato.
In molti sono convinti che il LED sarà la tecnologia di illuminazione definitiva, personalmente sono molto scettico in merito al fatto che riuscirà a salire di molto come resa luminosa.
Basti pensare al fatto che, con una lampada da 150 watt ed una architettura single chip, oggi si tirano fuori circa 1.000 lumen veri, con una efficienza pari a circa 7 lumen per watt di potenza assorbito.
Se tentiamo di ottenere lo stesso risultato con una sorgente LED, la potenza assorbita sale drasticamente verso i 400 W, con una efficienza di trasduzione dell’energia, da elettrica a luminosa, pari a poco più di 2. Meno della metà. Meno di 1 terzo, rispetto alle lampade.

Un modulo LED di quelli comunemente usati nei videoproiettori attuali.

Un modulo LED di quelli comunemente usati nei videoproiettori attuali.

Ma in molti sono convinti che il futuro sia nei LED e si ostinano definire “ecologici” i proiettori a LED: come potete intuire dal ragionamento, non sono d’accordo, e non mi piace raccontare stupidaggini. Per quanto mi riguarda i proiettori LED hanno molte qualità, come ad esempio la durata della sorgente, l’eliminazione delle note colore, la stabilità della colorimetria dopo la calibrazione, la qualità effettiva dell’immagine e molti altri vantaggi che i LED sono in grado di offrire, ma l’efficienza di trasduzione, ad oggi, è ancora molto inferiore a quella dei modelli che utilizzano una lampada ad arco. E infatti, quando è necessario andare su con la quantità di lumen, allo scopo di illuminare schermi di dimensioni cinematografiche (40, 50 mq di schermo), troviamo soltanto macchine basate su illuminazione a lampada, molte ad arco, molte altre allo Xenon.
Il motivo della differenza di efficienza, è presto spiegato: la luce in uscita dalla sorgente luminosa deve entrare in un condotto molto stretto, che si chiama Light Path o percorso ottico, una sorta di tubo che costringe i fotoni a rimbalzare sulle pareti, ovviamente riflettenti, allo scopo di distribuirsi uniformemente lungo la sezione del condotto.
Le lampade ad arco riescono a generare una sorgente luminosa delle dimensioni tra 1 e 1,2 mm, capaci di spedire quasi tutti i fotoni prodotti all’interno del percorso ottico.
I LED invece, nonostante siano per loro natura dotati di un fascio di emissione più stretto di quello delle lampade ad incandescenza tradizionali, non riescono ad ottenere dimensioni così piccole del fascio emesso, che nonostante tutti gli sforzi compiuti applicando lenti ed altri accessori rimane nell’ordine di qualche millimetro, per cui molta luce generata viene poi sprecata, in quanto non si riesce ad “infilarla” nel percorso ottico. Da cui deriva la necessità di aumentare la quantità di luce in partenza per ottenere un fascio utile, e quindi l’enorme calore generato che richiede un raffreddamento a liquido, e via discorrendo tutte le variabili che seguono per giungere al risultato di efficienza di cui parlavo prima.
Ci possiamo consolare pensando che un plasma di dimensioni pari a quelle dello schermo illuminato da un videoproiettore LED assorbe molto di più.

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Videoproiettori laser

Non sono i videoproiettori di Guerre Stellari, ma semplicemente dei videoproiettori DLP dove la sorgente luminosa viene sostituita da 3 fasci laser, accordati sulle 3 frequenze ottiche dei colori primari (Rosso, Verde, Blu).
Il vantaggio principale, in questo caso, è proprio l’efficienza: un laser emette un fascio di luce coerente di dimensioni microscopiche, talmente concentrate che riesce a “bucare” e “tagliare” diversi materiali. Questa caratteristica, abbinata al fatto che è molto facile realizzare laser di potenza elevata, consente di ottenere videoproiettori di potenza molto elevata con uno sforzo tutto sommato limitato.
Oggi si ritiene che la tecnologia laser sarà il futuro nelle applicazioni ad alta potenza, a patto che riesca a risolvere i suoi problemini legati alla difficoltà nel controllo della distribuzione dei fotoni nella sezione del percorso ottico: essendo fotoni dotati di elevata energia, tendono a creare delle turbolenze che diventano visibili nelle immagini sotto forma di “turbini” minuscoli localizzati, detti “speckles”.
Un altro vantaggio della tecnologia laser è che permette di separare fisicamente la sorgente luminosa dal gruppo di proiezione: già oggi è possibile mettere le sorgenti laser in una stanza opportunamente refrigerata ed isolata, conducendo poi i fasci laser all’interno della macchina di proiezione vera e propria per mezzo di fibre ottiche. Una soluzione forse ingombrante, ma decisamente semplice, efficace e, soprattutto, sicura.

Conclusioni

Trattare un argomento come questo non è impresa semplice da tentare in poche pagine, noi ce l’abbiamo messa tutta per accennare almeno i concetti fondamentali, aspettiamo i vostri commenti.

di Antonio Scappaticci

da Digital Video n. 150 gennaio 2013

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