La soundbar

La soundbar sta all’impianto multicanale come il “compattone” sta all’impianto hi-fi. È davvero così? Se fosse, solo menzionare questo componente sulle pagine di AudioGallery potrebbe giustificare una accusa di eresia. Voglio correre il rischio…

a rubrica AudioVideo fonda la sua ragion d’essere sulla divulgazione dell’idea che il multicanale non è nemico dell’ascolto di qualità, ma che anzi è vero proprio il contrario… Il messaggio fino ad ora ha trovato i lettori di AudioGallery molto interessati e adesso rischio di rovinare tutto venendovi a parlare di soundbar.

Tra i figli cadetti di quella dea minore quale è la multicanalità nell’olimpo stereoteista, il più sfigato di tutti infatti è proprio la soundbar.

Eppure questo componente ha una sua ragion d’essere… La fantascienza ci propone il modello dell’alieno evoluto con la testa grande ed il corpo quasi atrofizzato. Il processo evolutivo seguito dai televisori sul nostro pianeta ha visto diminuire sempre di più la loro profondità e le cornici, che un tempo ospitavano gli altoparlanti, diventare sempre più sottili fino a sparire del tutto. Proprio a causa della riduzione dell’ingombro e quindi dello spazio a disposizione della sezione audio, le prestazioni sonore si sono progressivamente impoverite: bassi poco profondi, gamma media nasale, suono inscatolato…

Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ci sono apparecchi che forniscono un suono più che soddisfacente, anche coi semplici altoparlanti integrati. In alcuni TV di fascia alta ha fatto la sua comparsa la soundbar integrata, ovvero una sezione audio che è parte integrante del TV ma visivamente appare come un elemento distinto. Un marchio del calibro di Sony ha fatto ricorso alla originale soluzione degli exciters, quei trasduttori che utilizzano le superfici a cui sono solidali (in questo caso lo schermo stesso) come elemento radiante.

Le alternative a rassegnarsi ad un audio povero e scadente sono due: collegare il TV ad un impianto o abbinargli una soundbar. Questa nella maggior parte dei casi non arriva da sola ma accompagnata da un altro “scatolo” che i costruttori sono soliti chiamare subwoofer (il più delle volte connesso alla soundbar in wireless), ma che nella pratica, come abbiamo avuto modo di spiegare nell’articolo dedicato a questo fondamentale anello della catena audio (sia essa stereo o multicanale), svolge in realtà il lavoro di un woofer. Anche tralasciando queste sottigliezze semantiche, sta di fatto che la soundbar ed il suo sub riescono a fornire prestazioni che, seppur con tutti i loro limiti, una volta abituatici ad esse, non ci permettono più di tornare indietro all’audio del TV.

Se andassimo a considerare l’intersezione degli insiemi che rappresentano la qualità in termini di prestazioni sonore delle soundbar e degli impianti multicanale, non troveremmo un insieme vuoto, ma un insieme, comunque non certo grande, costituito dall’estremo superiore del primo, ovvero quella piccola parte che comprende le migliori soundbar, ed uno un po’ più grande costituito dai sistemi multicanale entry level. Se anziché ragionare in termini di qualità andassimo invece a considerare la semplicità di inserimento in ambiente, non c’è nessun impianto multicanale che possa porsi in competizione con l’immediatezza d’uso offerta dalla più basica delle soundbar.

Unitamente a prestazioni che se di certo non accontentano un audiofilo purista probabilmente fanno la felicità della totalità degli amanti del cinema in casa che non possono proprio dotarsi di un impianto multicanale, il successo commerciale delle soundbar si spiega sa sé. Il grado di complessità di questo tipo di componente va dal minimale 2.1 fino ad arrivare all’equivalenza con sistemi 7.1.4. Equivalenza? Spieghiamoci meglio. Spesso il numero dei canali “fisici” coincide con quello dei gruppi di trasduttori utilizzati sulla soundbar, come nel caso delle più semplici 3.1, dove la soundbar ospita un canale centrale ed i due frontali, utilizzando o dei largabanda o dei gruppi a due vie o anche soluzioni miste (ma sempre con il sub a parte).

Quando la soundbar è dichiarata come 5 canali, i 2 surround possono essere anch’essi fisici oppure “virtualizzati”. Nel primo caso i diffusori posteriori sono del tutto separati dalla soundbar. A volte sono venduti assieme ma potrebbero anche essere degli optional e spesso offrono la comodità del collegamento wireless: basta fornire l’alimentazione ed il gioco è fatto, nessun cavo da passare, nessun ampli multicanale da acquistare. In alcuni sistemi particolarmente sofisticati i diffusori surround sono fisicamente connessi alla soundbar, con la quale in questa configurazione lavorano in sinergia, ma possono essere all’occasione separati e collocati dove occorre e per di più sono autoalimentati grazie a batterie ricaricabili.

Ma quando anche dei piccoli diffusori wireless presentano problemi di installazione, si può scegliere la seconda opzione menzionata, quella dei sistemi con canali “virtuali”. In questa tipologia di apparecchi il suono dei canali surround è generato da trasduttori collocati sulla soundbar stessa, ma la loro provenienza viene percepita dall’ascoltatore come posteriore. Questo è possibile grazie a considerazioni di psicoacustica in linea di principio concettualmente non particolarmente complesse. Per spiegarle utilizzo sempre questo esempio, un banale esperimento che potete anche fare virtualmente, ovvero semplicemente immaginarlo. Pensate di essere al centro di una stanza, con gli occhi chiusi; un vostro aiutante deve camminare in cerchio attorno a voi, schioccando le dita.

Il suono prodotto dallo schiocco è sempre lo stesso, ma voi siete in grado di individuarne la provenienza con estrema precisione. Come è possibile? Come forse sapete abbiamo… due orecchie. Esse percepiscono il suono ed il cervello elabora oltre alla sensazione uditiva in sé anche altri parametri come le differenze di livello e fase con cui il suono le raggiunge. Quando la sorgente è esattamente al centro di fronte a noi, il suono arriva alle orecchie nello stesso preciso istante e con la stessa intensità. Se la sorgente si sposta verso destra o verso sinistra, il suono raggiungerà un orecchio prima dell’altro e con intensità diverse. Il cervello interpreta queste differenze e ci consente di determinare la posizione della sorgente. La stereofonia funziona così…

Ma se la sorgente si trova ancora una volta esattamente al centro ma alle nostre spalle? Anche il questo caso il suono arriva in fase e con la stessa intensità eppure ci accorgiamo che arriva da dietro. Come ci riusciamo? Grazie alla particolare forma dei padiglioni auricolari, che modificano il timbro a seconda della direzione dalla quale il suono li raggiunge. In pratica le orecchie “equalizzano” i suoni in base alla provenienza ed il cervello è allenato ad elaborare queste alterazioni così da consentirci di individuare la direzione di arrivo. Lo stesso discorso vale non solo sul piano orizzontale, ma anche su quello verticale. Quale che sia la posizione della sorgente, riusciamo in base a questo stesso principio ad individuarne la collocazione anche in altezza. Ad “equalizzare” i suoni in base alla provenienza non contribuiscono solo i padiglioni, ma la testa ed il busto. Se le alterazioni di livello, fase e timbrica che caratterizzano i suoni a seconda della loro provenienza vengono introdotte tramite un DSP, è possibile ingannare il nostro apparato uditivo e “fargli credere” che un suono che fisicamente ci raggiunge frontalmente stia invece provenendo da una direzione diversa, magari da dietro o dall’alto…

Da Philips (in foto) ma anche da altri costruttori arriva la proposta dei diffusori surround come elementi separabili dalla soundbar, autonomi in quanto ad alimentazione e connessi in wireless.

È questa la virtualizzazione dei canali surround, per i quali quindi non occorrono diffusori fisici ma bastano quelli presenti nella sola soundbar. Questo principio è sfruttato anche da alcune cuffie e talvolta il modello di elaborazione del suono viene addirittura personalizzato tramite una analisi della forma dei padiglioni auricolari dell’ascoltatore. Paradossalmente nelle cuffie è più facile virtualizzare la provenienza posteriore, davvero molto ben caratterizzata, piuttosto che ricreare senza alterazioni timbriche una credibile immagine frontale (e non un suono che si materializza al centro della testa).

Oltre ai canali surround classici, molte soundbar sono compatibili con le codifiche audio 3D come il Dolby Atmos. Anche in questo caso ci possono essere dei trasduttori fisici, sempre di tipo upfiring, ovvero collocati sulla parte superiore ed indirizzati verso il soffitto del quale sfruttano la riflessione per simulare la provenienza dall’alto; ma esistono pure le soluzioni con virtualizzazione. Sul fronte della connettività, su di una soundbar troviamo sempre almeno una connessione HDMI verso il TV, da connettere ad un ingresso HDMI di tipo ARC (Audio Return Channel), attraverso il quale il TV veicolerà l’audio alla soundbar quale che sia la fonte utilizzata (il tuner interno, una app di streaming, un player o una console connessi ad un altro ingresso).

Se sulla soundbar troviamo una seconda porta HDMI ad essa potremo connettere una sorgente A/V, che potrà essere utilizzata a TV spento per il solo ascolto o fruendo anche del video che viaggerà verso la TV attraverso l’altra connessione HDMI. Di solito non manca mai un ingresso digitale ottico da collegare alla corrispondente uscita sul TV. Questa connessione permette di collegare anche TV non molto recenti; se per caso il televisore fosse così basico da non avere nemmeno l’uscita ottica si potrà ricorrere all’uscita cuffia da collegare alla soundbar ad un ingresso AUX o, se assente, da convertire in digitale ottico tramite un economico convertitore esterno.

Ma questi sono davvero dei rari casi limite. La connessione da preferire è sempre la HDMI, per la maggior versatilità e minori limitazioni nel trasporto dei segnali multicanale. Non manca poi la possibilità di inviare l’audio, oltre che al summenzionato ingresso linea, anche in Bluetooth. La connessione di rete, se presente, estende le possibilità di impiego della nostra soundbar come impianto musicale senza eccessive pretese per un ascolto di sottofondo, sia di contenuti in locale che di quelli forniti dai servizi di streaming. Se queste funzionalità non sono presenti nella soundbar probabilmente lo sono nel TV…

Le soundbar compatibili con le codifiche audio 3D (Dolby Atmos, DTS:X) utilizzano la soluzione degli speakers upfiring, che sfruttano la riflessione del soffitto per ottenere la provenienza dall’alto.

Conclusioni

La soundbar non sarà la soluzione qualitativamente migliore in assoluto per l’audio del nostro sistema HT, anche se non mancano proposte di altissimo livello. Ma è di certo il sistema più semplice, immediato e non invasivo per esaltare le prestazioni soniche del nostro televisore, per quanto buono esso possa essere sotto il profilo sonoro, regalandoci anche l’emozione del surround.

La eccellente praticità di questo componente assieme a prestazioni in grado di accontentare i più ne hanno decretato la notevole diffusione. Un discreto sistema multicanale probabilmente batte in qualità pura la stragrande maggioranza delle soundbar, ma il loro punto di forza non è, come dicevamo, la ricerca delle prestazioni assolute quanto offrire una soluzione imbattibile nella praticità.

Se l’uso è prevalentemente quello della riproduzione delle colonne sonore, una soundbar garantisce tutto sommato una resa sempre godibile; se vogliamo ascoltare la musica dovremo limitare le pretese, ma, come nel caso del prodotto in prova su questo stesso numero, potremo avere delle piacevoli sorprese…
Mario Mollo

Author: Redazione

Share This Post On

Submit a Comment