1… 2… 3-D… Via!

Ci siamo! I display 3-D sono nei negozi. Come vanno? Quanto costano? Ci sono problemi? A questi ed altri interrogativi troverete risposta comprando una rivista competente…

Tranquilli, non avete commesso errori, avete tra le mani la rivista giusta… Se ci seguite con costanza, vi sarete accorti che ormai da diversi mesi abbiamo iniziato a trattare il tema del 3-D con una serie di articoli, molti dei quali a firma dell’ottimo Agostino Anfossi (che del 3-D ha fatto una professione), affrontando la questione sia dal punto di vista teorico che da quello pratico (proprio sullo scorso numero abbiamo spiegato come autocostruire un visore stereoscopico). E non vi saranno sfuggite le prove dei primi apparecchi in commercio in grado, sì, di riprodurre la terza dimensione ma in effetti non ancora aderenti allo standard la cui “chiusura” ha visto la luce alla fine dello scorso anno. Gli apparecchi che esaminiamo sulle prossime pagine sono invece dei prodotti “standard”, non nel senso di “comuni”, ma in quello di “conformi alle specifiche”. Collegati ad un lettore di Blu-ray 3-D nel cui cassetto sia collocato un film in 3-D, questi apparecchi sono in grado di riprodurne correttamente il contenuto. E sono anche in grado di visualizzare in 3-D i programmi televisivi trasmessi in questo “standard” (qui le virgolette sono ancora necessarie). Ed alcuni possono perfino trasformare in 3-D i normali contenuti 2D.

Non mi sembra poco. Prima di passare all’esame dei tre prodotti giunti in redazione, vorrei spendere qualche parola introduttiva a beneficio di chi ancora è un pochino a digiuno di questa nuova tecnologia, cercando al contempo di offrire qualche spunto di approfondimento e/o riflessione per chi, leggendoci con una certa regolarità, magari sa già tutto. Che per poter visualizzare una immagine in 3 dimensioni occorra inviare a ciascun occhio la “giusta” informazione credo sia chiaro a tutti. Esistono display in grado di svolgere questo compito senza alcun altro orpello: basta porsi davanti al display per vedere in 3-D. Il “miracolo” è possibile grazie alla presenza di fronte al pannello di un filtro “lenticolare” che fa in modo di far arrivare all’occhio destro metà delle righe (verticali) del pannello e all’occhio sinistro l’altra metà. Il limite di questa tecnologia (che di fatto dimezza la risoluzione orizzontale del pannello) è la posizione obbligata dell’osservatore (oltre ad una certa scarsa naturalezza delle immagini i cui pixel sembrano assumere la forma di sferette). Sebbene non idonea ad una fruizione collettiva (la posizione di visione privilegiata è limitata ad un’area ristretta), questi display trovano nel digital signage la loro applicazione principe.

Schema generale di funzionamento degli occhiali LC shutter. In alto, l’immagine come compare senza indossare gli occhiali (o con occhiali spenti o non in connessione con l’emettitore IR). Il meccanismo di otturazione delle lenti, se perfettamente sincronizzato con la riproduzione del filmato 3-D, consente di mostrare una ed una sola immagine a ciascun occhio quando si raggiunga un refresh rate almeno pari a 100 Hz (50 Hz per occhio).

Schema generale di funzionamento degli occhiali LC shutter. In alto, l’immagine come compare senza indossare gli occhiali (o con occhiali spenti o non in connessione con l’emettitore IR). Il meccanismo di otturazione delle lenti, se perfettamente sincronizzato con la riproduzione del filmato 3-D, consente di mostrare una ed una sola immagine a ciascun occhio quando si raggiunga un refresh rate almeno pari a 100 Hz (50 Hz per occhio).

Le altre tecnologie per il 3-D prevedono l’utilizzo di occhiali da indossare per poter percepire la terza dimensione. In questo caso ci sono due opzioni tecnologiche: occhiali “passivi” ed occhiali “attivi”. Gli occhiali passivi non necessitano di alimentazione per funzionare, mentre gli occhiali attivi vanno a batteria: questo spiega la denominazione. Anche se più complessa dal punto di vista costruttivo, la tecnologia attiva è più semplice da spiegare. Le lenti dell’occhiale altro non sono che dei pannelli LCD, che possono bloccare o lasciar passare la luce. Il display (o il proiettore) che funziona con questi occhiali mostra alternativamente le immagini per l’occhio destro e per il sinistro, mentre l’occhialino, il cui funzionamento è sincronizzato con il display (che invia all’occhiale un segnale ad infrarossi), provvede a bloccare la visione all’occhio a cui l’immagine non compete. Sebbene ciascun occhio “funzioni” per metà del tempo, vede comunque tutto il display (non c’è quindi perdita di risoluzione). Anche nei Blu-ray il film è memorizzato e riprodotto secondo questa logica, detta frame sequential. In pratica è come se sul disco fossero memorizzati due film, uno per ciascun occhio. Lo spazio occupato sul disco però non raddoppia, perché uno dei due flussi è compresso come differenza rispetto all’altro. Veniamo quindi alla tecnologia passiva. E qui ci troviamo di fronte ad una serie di varianti, a seconda che si parli di televisori o di proiettori e che si utilizzino per le lenti degli occhialini filtri colorati (scusate la semplificazione) o filtri polarizzati. La tecnologia più elementare è quella dell’anàglifo (ed è l’unica che può funzionare anche senza un display, ad esempio con la carta stampata).

A partire dalle due immagini per l’occhio destro e sinistro, modificandone opportunamente (e piuttosto pesantemente) la cromia, si ottiene una sola immagine che contiene le informazioni per l’occhio destro ed il sinistro e che può essere riprodotta, come dicevo, non solo attraverso un qualunque display e sorgente, ma può essere anche stampata. Saranno i filtri colorati dell’occhialino ad “estrarre” l’informazione per ciascun occhio. Il limite di questa tecnologia risiede nella scarsa separazione tra le informazioni relative a ciascun occhio. In audio, per indicare la presenza di un canale sull’altro, si parla di diafonia. Nel video invece, per indicare la presenza di informazioni dell’occhio destro sul sinistro e viceversa, ha preso piede il termine cross-talk. Il cross-talk si manifesta all’atto pratico con la percezione di immagini sdoppiate, come una volta accadeva per la TV analogica (e come accade ancora a chi non è passato al digitale terrestre). La presenza di queste immagini “fantasma” fa parlare di “ghosting”. Avremo modo di riparlarne. Una variante sofisticata dell’anàglifo è usata nelle sale cinematografiche 3-D attrezzate col sistema Dolby 3-D/Infitec. In questo caso l’alterazione cromatica subita dalle immagini è poco invasiva e le lenti degli occhiali sono dei filtri dicroici abbastanza sofisticati. Il risultato è davvero eccellente. Le altre applicazioni “passive” si basano sull’impiego di filtri polarizzatori: ciascuna lente dell’occhiale lascia passare solo la luce opportunamente polarizzata.

In videoproiezione si usano installazioni con due videoproiettori (o con proiettori a doppio engine). Ogni proiettore o engine ha una sua particolare polarizzazione e proietta le immagini destinate a un occhio. Le due immagini sono simultaneamente presenti sullo schermo (è richiesto un telo speciale che non modifichi la polarizzazione, detto silver) e sarà l’occhialino con le sue lenti polarizzate a bloccare su ciascun occhio le informazioni destinate all’altro e a lasciar passare quelle giuste. La risoluzione “vista” da ciascun occhio è quella di un “intero” proiettore. Gli occhialini polarizzati costano meno di quelli dicroici ma sono un po’ meno efficienti nel ridurre il cross-talk. Dai proiettori passiamo ai display. In questo caso davanti al pannello è posto un filtro polarizzatore che polarizza (ma guarda un po’…) orizzontalmente le righe del display, differenziando le pari dalle dispari, in modo che, indossando gli occhialini, ciascun occhio vedrà solo quelle polarizzate in un certo modo. Il sistema è semplice, ma ciascun occhio vede metà pannello (la risoluzione verticale è dimezzata). È proprio questa la differenza principale tra le TV basate sulle due tecnologie. Fin qui la teoria diluita al massimo; invito quanti volessero approfondire, a procurarsi gli ultimi numeri di Digital Video. Su queste basi possiamo sviluppare qualche ragionamento.

3-D: non è roba per pigri

Sono dolente, ma ho bruttissime notizie per quelli che sono soliti allungarsi sul divano per guardare la TV: il 3-D non è cosa per loro. Le TV 3-D, infatti, debbono necessariamente essere fruite con il capo in posizione verticale, affinché si percepisca la profondità. Il perché è presto detto. La visione tridimensionale è possibile grazie alla “triangolazione” effettuata dal nostro cervello sulle informazioni ricevute dai due occhi. Ciascuno di essi coglie una diversa prospettiva della realtà osservata, ed il cervello utilizza queste informazioni per fornirci la percezione della profondità. Ora, forse vi sarete accorti guardandovi allo specchio che i vostri occhi sono uno accanto all’altro e non uno sopra all’altro. Anche se pieghiamo la testa di 90 gradi o ci mettiamo a testa in giù, i nostri due occhi continuano a “riprendere” la realtà dalla loro prospettiva e noi continuiamo a vedere in 3-D. Ma nelle TV 3-D la differente prospettiva destinata a ciascun occhio non varia con i movimenti della nostra testa, ma è fissa ed è stata generata pensando ad un osservatore con la testa dritta e con gli occhi uno accanto all’altro. Quindi l’unico modo per guardare una TV 3-D in 3-D è con la testa dritta. Una TV 3-D al plasma si può guardare anche stando sdraiati, perdendo però l’effetto 3-D. Una TV LCD stando sdraiati non si vede proprio. Non dimentichiamoci infatti che i pannelli a cristalli liquidi funzionano grazie a dei filtri polarizzatori e che la luce che esce da un display LCD è polarizzata. Anche gli occhialini funzionano con lo stesso principio: la luce che esce dalla TV è polarizzata nel piano che ne consente l’ingresso negli occhialini: se ruotiamo l’occhialino la luce non passa più attraverso il primo filtro polarizzatore dell’occhialino stesso. Per questo stesso motivo due occhialini “in serie” non si vedono, dal momento che la luce che esce dal primo è polarizzata su un piano che non è quello giusto per entrare nel secondo.

Dal momento che la luce emessa da una TV LCD esce polarizzata, potrà atraversare gli occhialini solo se il filtro di ingresso di questi ultimi è allineato con la luce stessa; ruotando la testa, come quando ci si sdraia su un divano, gli occhialini si presentano orientati nei confronti della luce in maniera tale da bloccarne il passaggio.

Dal momento che la luce emessa da una TV LCD esce polarizzata, potrà atraversare gli occhialini solo se il filtro di ingresso di questi ultimi è allineato con la luce stessa; ruotando la testa, come quando ci si sdraia su un divano, gli occhialini si presentano orientati nei confronti della luce in maniera tale da bloccarne il passaggio.

Cosa è una TV 3-D?

So che la domanda può sembrare strana, e cercherò di spiegarvi il motivo per cui me la sono posta e di dimostrare (spero) che non ho ancora perso (del tutto) la ragione… Stando a quanto enunciato poco sopra, un segnale 3-D registrato su un Blu-ray altro non è che un segnale Full HD a frame rate doppio. Il fatto che un frame sia per l’occhio destro ed il successivo per il sinistro è in fondo un aspetto marginale, del quale semmai sarà l’occhialino attivo a preoccuparsi. E visto che ormai tutte le TV, o almeno quelle di fascia più alta, sono ad “alto hertzaggio”, per fare una TV 3-D attiva basta aggiungere ad una TV 2D il trasmettitore per gli occhialini, mentre per una passiva basta solo applicare il polarizzatore, non serve nemmeno che vada a 120 Hz. Occorre poi solo fare in modo che gli apparecchi riconoscano ed accettino (e nel caso passivo elaborino un pochino) il segnale 3-D in ingresso ed il gioco è fatto. Per questo ci si potrebbe chiedere “ma perché la fanno tanto lunga ‘sti costruttori, sono anni che abbiamo le TV a 120 e 200 Hz, che ci vuole a trasformarle in 3-D?”. In realtà la cosa è più complessa di quello che sembra, soprattutto parlando di tecnologie attive. Il maggior problema è la riduzione del cross-talk senza abbattere la luminosità, e per questo sia il pannello sia l’elettronica sono più sofisticate di quelle di una “vecchia” TV 2D a 200 Hz. Cercherò di snocciolare questi dettagli tecnici nel seguito, un poco alla volta quando se ne presenterà l’occasione.

Meglio attiva o meglio passiva?

La domanda sorge spontanea e la risposta, in base a quanto detto sulla perdita di risoluzione, sembrerebbe altrettanto spontanea. In effetti il dimezzamento della risoluzione lascerebbe presupporre una maggior qualità delle TV attive. Ed è così. Molte case, partite con il passivo, hanno cambiato rotta orientandosi sull’attivo. Ma non è detto che la più semplice soluzione passiva venga accantonata definitivamente. Al riguardo vorrei sottoporvi tre osservazioni, una teorica e due pratiche. La prima, quella teorica, riguarda il prezzo di acquisto. In teoria, vedremo poi all’atto pratico cosa succederà, una TV passiva dovrebbe costare meno (vedremo quanto) di una attiva, come costano meno (e questo è un dato di fatto già acclarato) gli occhialini. Se rimaniamo coi piedi per terra e non ci dimentichiamo che ancora stiamo migrando verso l’alta definizione (e che questo passaggio è ancora ben lungi dall’essere completo), possiamo riflettere più serenamente sull’importanza del 3-D. Il 3-D è ormai presente, tante volte abbiamo detto che è ormai scontato al cinema. Ma i titoli 3-D preregistrati disponibili nel 2010 sono pochi, e in casa l’utilizzo 3-D sarà, almeno all’inizio, una modestissima frazione di quello 2D, che resta, come dicevo, perfino relegato alla definizione standard.

Quanto è lecito spendere in più per il 3-D? La risposta dipende dalle esigenze di ciascuno e chi non ha troppe pretese può godersi saltuariamente il 3-D senza dover necessariamente spendere troppo in più rispetto ad una TV normale, scegliendo la tecnologia passiva. E qui arriva la prima osservazione pratica. Se è vero, come è vero, che le TV attive si vedono meglio di quelle passive, è vero anche che ho visto delle demo di TV passive molto molto soddisfacenti. E se il peso che diamo al 3-D è marginale e consideriamo che in alcuni casi non si vede nemmeno peggio, la scelta passiva non è più così dissennata. Terza ed ultima osservazione, seconda di quelle pratiche. A differenza dello standard 3-D del Blu-ray, che prevede due flussi Full HD, le trasmissioni televisive in 3-D saranno basate su scelte più “risparmiose” (in termini di banda). In pratica una trasmissione televisiva 3-D occuperà la stessa banda di una 2D; questo risparmio è possibile perché verrà sacrificata la risoluzione, trasmettendo le immagini destra e sinistra simultaneamente all’interno di un frame Full HD 2D normale. Questo può avvenire con la tecnica side-by-side (le immagini destra e sinistra sono affiancate orizzontalmente previo schiacciamento, come accade per il formato anamorfico del DVD), con la tecnica top-bottom (stessa pappa, solo che le due immagini sono sovrapposte e non affiancate), oppure con una tecnica detta checkerboard (le due immagini sono scomposte in una sorta di scacchiera, in modo che la perdita di risoluzione non sia del 50% in una sola dimensione ma sia minore, seppur coinvolgendo entrambi gli assi). Se le trasmissioni avvenissero in top-bottom, un display in tecnologia passiva non comporterebbe alcuna perdita di risoluzione.

La videocamera 3-D di Panasonic recentemente presentata al CES 2010. Rilascio previsto per l'inverno 2010, costo: 21.000 USD.

La videocamera 3-D di Panasonic recentemente presentata al CES 2010. Rilascio previsto per l’inverno 2010, costo: 21.000 USD.

La soluzione che probabilmente verrà usata di elezione però sarà probabilmente la side-by-side; in questo caso una TV passiva sacrificherebbe metà della risoluzione verticale (che viene trasmessa per intero) e dovrebbe comunque riscalare quella orizzontale (trasmessa al 50%). Difficile dire se questa doppia accettata al segnale (una inferta dalla TV e una dal broadcaster) sia in effetti un reale disastro o se, nonostante tutto, il risultato finale sia accettabile. Una riflessione a margine: se in un futuro i broadcaster decidessero di trasmettere il 3-D in risoluzione piena, temo che gli attuali tuner non siano già all’altezza del compito.

Meglio plasma o LCD?

Se in 2D ne abbiamo parlato allo sfinimento, l’avvento del 3-D non sembra porre fine alla diatriba. Come per il 2D, anche nel 3-D le due tecnologie hanno i loro pro ed i loro contro. L’LCD per funzionare bene deve andare veloce (incrementare il frame rate); in 2D questo comporta elaborazioni sul segnale che finiscono per snaturarlo (dal judder alla soap per togliere il blur: 8 parole che riassumono le decine di migliaia che fino ad oggi ho speso sul tema). Il 3-D viene naturalmente incontro a questa esigenza della TV LCD: il segnale ha un frame rate intrinsecamente più elevato e la TV non deve inventare nulla (non deve cioè creare frame interpolati perché è il segnale stesso ad avere un frame rate doppio rispetto al 2D). Il plasma necessita di meno elaborazioni sul segnale: si vede abbastanza bene di suo. Aumentare il frame rate implica anzi ridurre il numero di subfield per frame: un plasma a 600 Hz lavora con 12 subfield per frame in 2D e con 6 in 3-D. In teoria si dimezza il numero di livelli di grigio rappresentabili (e quindi quello di gradazioni di colore). Tutto sembrerebbe congiurare contro il plasma e vertere a favore dell’LCD. Ma non è così. All’atto pratico i plasma non sembrano perdere nulla in termini di resa cromatica (evidentemente sotto c’è qualcosa di più) e l’LCD dal canto suo è ancora una volta svantaggiato dal suo stesso modo di funzionare, che, come avremo modo di vedere, rende difficile ridurre il cross-talk senza abbattere la luminosità. Credo che, come l’esperienza nel 2D ci ha insegnato, troveremo sia ottimi plasma sia ottimi LCD, come anche esponenti delle due tecnologie meno performanti.

La conversione in real time

Mi riallaccio a quanto osservato nel corso di questo stesso articolo sul potenziale utilizzo 3-D limitato, almeno in questa fase iniziale, ad un impiego sporadico (pochi titoli 3-D, trasmissioni ancora allo stato embrionale). Per invogliare fin da subito i potenziali acquirenti di una TV, orientando la scelta verso un modello 3-D, molti costruttori, ma non tutti, hanno implementato una funzionalità per trasformare in 3-D i normali segnali 2D, sia che si tratti di dischi preregistrati sia che si tratti di trasmissioni via etere. In questo modo chi acquista ora una TV 3-D può sfruttarla al 100% fin da subito. Questa opzione è del tutto indipendente dalla tecnologia 3-D che sottostà all’apparecchio: è di fatto una elaborazione software sul segnale in ingresso. I principi alla base di questa tecnica sono diversi e non sono certo io in grado di dissertarne spensieratamente. Posso solo dare qualche “titolo” per capire cosa c’è sotto.

Il software può effettuare una analisi prospettica (ciò che è in basso è più vicino, ciò che è in alto più lontano), può considerare la luminosità della scena (ciò che è scuro si suppone lontano e ciò che è chiaro vicino), può tenere in conto la velocità (veloce vicino, lento lontano). E chi più ne ha più ne metta. Ho visto delle immagini 2D trasformate in 3-D “a mano” e vi assicuro che il risultato ha dell’incredibile. Trasferire l’intelligenza di un essere umano ad un algoritmo è un compito davvero arduo, ma con il tempo l’affinamento sarà inevitabile. I risultati visti nelle varie demo sono qualitativamente piuttosto altalenanti. Di sicuro la conversione in 3-D è un argomento commercialmente fortissimo. Chi ha deciso di attendere per implementare questa funzione sostiene che un risultato scadente potrebbe essere un deterrente e potrebbe instillare l’idea che il 3-D non sia solo inutile ma perfino dannoso. Vero, verissimo, ma credo anche che chi ce l’ha abbia fatto bene a metterlo nelle proprie TV.

Schema a blocchi della codifica in 3-D. Anziché codificare indipendentemente i flussi destro e sinistro, che significherebbe raddoppiare lo spazio di archiviazione necessario, uno dei due flussi viene compresso in funzione dell’altro. In questo modo l’occupazione di spazio di un film 3-D non è il doppio di un 2D ma solo una volta e mezza circa.

Schema a blocchi della codifica in 3-D. Anziché codificare indipendentemente i flussi destro e sinistro, che significherebbe raddoppiare lo spazio di archiviazione necessario, uno dei due flussi viene compresso in funzione dell’altro. In questo modo l’occupazione di spazio di un film 3-D non è il doppio di un 2D ma solo una volta e mezza circa.

Due limiti della tecnologia 3-D

La perfezione non è di questo mondo e il 3-D non fa eccezione. Nel tempo chissà quante questioni affronteremo; al momento ci sono un paio di aspetti su cui vorrei invitarvi a riflettere. Uno è relativo alla risoluzione. Abbiamo visto che in 2D la risoluzione Full HD è più che sufficiente per la visione su schermi anche cinematografici. In 3-D invece mostra qualche limite, non tanto per la definizione delle immagini quanto per le approssimazioni sulla parallasse. Mi spiego meglio: se guardiamo una successione di oggetti disposti a distanza crescente, non abbiamo problemi a percepire con continuità il senso di profondità, anche quando gli oggetti sono piccoli ed a grande distanza. Quando la stessa scena deve essere catturata prima e riprodotta poi con un sistema video la cui risoluzione è fissata in un preciso numero di pixel, le piccole differenze di parallasse degli oggetti molto lontani andranno perse, perché la “quantizzazione” delle immagini digitali li porterà a trovarsi “sullo stesso pixel”. Alcuni oggetti che con gli occhi vediamo chiaramente su piani diversi, finiscono con l’essere “schiacciati” in un sistema di visione 3-D.

Quello che voglio dire è che sebbene le singole immagini destra e sinistra ci appaiano perfette in termini di definizione, le differenze di profondità saranno percepibili solo quando la differenza di parallasse sia superiore al minimo visualizzabile, ovvero un pixel. L’altro aspetto riguarda la messa a fuoco e la profondità di campo. Quando osserviamo il mondo che ci circonda, su cosa focalizzare lo sguardo. Guardando immagini 3-D invece la messa a fuoco è fissata in fase di ripresa. Se la profondità di campo è molto ampia (tutto a fuoco), come è possibile fare ad esempio in computer grafica, non ci sono problemi, ma le immagini sono poco naturali. Se invece ci sono parti fuori fuoco, perché il regista ha deciso così, per quanto ci si possa sforzare non sarà mai possibile metterle a fuoco. Su questo aspetto sarà l’esperienza che col tempo sarà accumulata in fase di produzione a ridurci i fastidi.

Conclusione

Di carne al fuoco ne abbiamo messa tanta. Nell’analisi degli apparecchi 3-D che da questo mese cominciamo a provare non trascureremo certo l’utilizzo 2D, e tenteremo di approfondire i temi che abbiamo appena iniziato ad accennare cercando di sviscerare quanto più possibile i segreti del 3-D. Ma se ne può fare a meno, del 3-D? Certo che sì. Si può fare a meno anche della TV, del frigorifero, del sesso… Io posso solo parlare per me: se collaboro con questa casa editrice da più di 20 anni è perché sono (ancora) un appassionato, di audio prima e di video poi. Amo il cinema e per questo ho acquistato nel secolo scorso (credo nel ’97) il mio primo videoproiettore. Vado al cinema e, se c’è, opto per la versione 3-D del film. Non amo il calcio, ma quando ho visto delle demo di calcio in 3-D non posso negare di aver assistito ad uno spettacolo diverso dal solito. Si può fare a meno del 3-D, ma io, sinceramente, non vorrei rinunciarci!

di Mario Mollo

da Digital Video n. 123 giugno 2010

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