Nello scorso numero abbiamo iniziato a trattare delle tematiche connesse alla riproduzione delle immagini partendo da uno dei temi fondamentali, quello del colore e della sua misura, qui riprendiamo ed estendiamo altri argomenti legati alla fenomenologia della percezione visiva.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, “Cena di Emmaus”, particolare, 1606.
La volontà dell’ultimo Caravaggio è quella di cogliere la forza degli eventi in modo essenziale e naturale. Il Loghi afferma: “nella Crocifissione” le cose accadono con un’evidenza incolpevole, dove ognuno attende all’opera sua”. Caravaggio stesso, durante la permanenza in carcere per aver ferito Flavio Canonico (un sergente di Castel Sant’Angelo), ci lascia nella deposizione un preciso messaggio di autopresentazione circa il suo pensare e il suo dipingere: “l’esercitio mio è il pittore… quella parola valent’huomo appresso di me vuol dire che sappi dipingere bene le cose naturali”; tra le cose naturali c’era anche la povertà.
Nell’articolo precedente il nostro direttore tecnico ha sottolineato quanto sia complesso il processo di analisi e di acquisizione teorico-strumentale del colore, lasciando intravedere come “misura e peso” non riescano a costituire un riferimento sufficiente alla sua rappresentazione in riproduzione, vuoi su supporto cartaceo (per sintesi sottrattiva), vuoi su video (per sintesi additiva). La storia del colore in chiave scientifica è estremamente recente e coincide con l’avvento dell’era industriale, momento in cui avviene l’acquisizione generalizzata a tutti i livelli dell’uso del colore. Solo cento anni fa il colore del vestire quotidiano era ancora quello delle stoffe grezze. Il bianco sporco e le terre (gli ocra, i marroni) erano gli estremi della gamma che vestivano e caratterizzavano la normalità. Ancora nel ‘700 solo il ceto alto poteva permettersi di indossare abiti azzurro lapislazzuli o rosso porpora e stagliare la propria figura sulla monocromatica terrocromia del volgo. Il colore, quindi, era un fattore percettivo in chiave discriminante. Il croma quotidiano era quello rivoluzionario dei quadri dell’ultimo Caravaggio (“Cena di Emmaus”, part. 1606) che, con sfrontato realismo, dipingeva la povertà, oltre che attraverso il suo dolore, anche attraverso il suo colore. La vista di un quadro o di un affresco in una chiesa rappresentava emotivamente un qualcosa di unico e paragonabile, oggi, al di là del coinvolgimento intellettuale individuale, solo allo stupore di un bambino alla vista dei fuochi d’artificio. L’affresco aveva, probabilmente, lo stesso potere immaginifico del cinematografo. L’iconografia “pubblicistica e cartellonistica” del mosaico medioevale usava la ripetizione e la stasi delle proprie rappresentazioni religiose stimolando il complesso articolato della percezione visiva soprattutto attraverso il colore. Il mosaico o l’affresco coloravano di emozioni un popolo immerso nelle monocromie del vivere quotidiano.
Oggi il nostro mondo è tutto colore ed immagine al contempo: ma pur costituendo la componente di un linguaggio non più per pochi, la decodifica del linguaggio visivo è ancora un processo elitario. Basti pensare all’ora di disegno scolastica che è generalmente un’estensione della ricreazione, o al luogo comune che “per disegnare bisogna essere portati…”; il punto è proprio qui, non c’è nessuno che ci porta! È chiaro che se non c’è informazione o metodo l’azione nasce per esclusivo interesse personale. Se qualcuno decidesse che insegnare a scrivere non è, eticamente, politicamente e socialmente, rilevante quanti sarebbero gli analfabeti? Si potrebbe imparare a disegnare e a leggere il disegno se qualcuno lo insegnasse con metodo sin dalle elementari; non tutti diventerebbero Michelangelo (come non tutti sono Leopardi) ma sarebbe più facile capire che non esiste solo la già proibita e potente percezione subliminale (azione di convincimento ottenuta stimolando il settore infra-cosciente dell’attività psichica), ma tanti più sottili e dilazionati fenomeni che agiscono sull’inconscio percettivo del visivo più perché ne ignoriamo il linguaggio che per una azione psicologica complessa.
Scusate la digressione, ma finalmente l’avvento dell’informatica porta il visivo in casa di tutti e riviste come questa finalmente hanno l’occasione per trattare argomenti che una volta trovavano spazio solo in ambito professionale o accademico. Vorremmo stimolare non solo i nostri recettori tecnologici, ma anche quelli. Parlare di videocamere, videoterminali e televisori vuol dire avere a che fare con l’articolato mondo della percezione. Come per le casse acustiche parliamo di risposta in frequenza, cercando di conoscerne i limiti intrinseci, anche di un video (o di qualunque cosa in grado di restituire una immagine) dobbiamo svelare i complessi aspetti che lo investono per completezza di informazione e per poter meglio leggere le analisi strumentali. La percezione ha vari gradi di applicazione, ma generalizzando si può dire che è lo studio di una azione subliminale dilazionata nel tempo. Conoscendo tecnicamente il linguaggio visivo è possibile agire sugli stimolatori neurovegetativi in stretta connessione con l’inconscio e condizionare chi ne ignora il processo. Agire sull’inconscio vuol dire agire di soppiatto avendo la certezza che questo avrà un risvolto psicofisico e comportamentale; è un po’ come far firmare ad un analfabeta un contratto capestro imbonendolo e rassicurandolo con particolari e mirati eloqui atti ad arginare la sua insicurezza e diffidenza. Alla fine si autoconvincerà di aver gestito lui la situazione. Conoscendo le potenzialità tecniche (non quelle manuali) del visivo non sovvertiremo il sistema sociale, ma sicuramente compreremo qualche detersivo in meno (fate disegnare i vostri figli!).
In questo senso possiamo capire meglio come il fenomeno della visione sia effettivamente un fenomeno fisico basato sulla trasformazione di particolari sostanze chimiche (pigmenti visivi) contenute nelle cellule fotorecettrici (bastoncelli – sensibili anche alle minime intensità luminose, coni – sensibili solo a elevate emissioni luminose, fig. 1) che si trovano nella retina (trasformazione che avviene per effetto dell’energia luminosa assorbita e durante la quale viene inviato al cervello un impulso nervoso). Il pigmento contenuto nei coni presenta una massima capacità di assorbimento in tre bande spettrali diverse. Questa è la causa bio-psicologica di una ricezione discriminante delle varie lunghezze d’onda del visibile (comprese tra 7600 e 4000 Angstrom circa). Quindi il processo di riconoscimento del colore avviene con la miscelazione di sole tre bande spettrali (rosso-verde-blu) per le quali esistono dei recettori dedicati. La percezione del colore è quindi un fatto fisico-chimico, neurovegetativo, regolato da stimolazioni elettriche primarie.
La percezione in genere viene analizzata distinguendo il colore dalla forma. In questo senso si potrebbe pensare che per quest’ultimo non esista un tramite biofisico dedicato che metta in diretta relazione visione ed emozione e che questo accada solo attraverso l’esperienza (il déjà vu). Ma è bene chiarire che la distinzione tra forma e colore è una mera necessità tecnica di gestione del problema che non ha niente a che vedere con la complessità della realtà. I coni e i bastoncelli, nella realtà, percepiscono un’immagine fatta di colore e forma senza scindere i due aspetti: didatticamente si scinde il problema per semplificazione e per poter permettere una più facile analisi dei singoli aspetti che compongono il complesso aspetto della percezione.
La generazione dei colori
Ricapitoliamo in breve e in chiave più discorsiva il processo per il quale il colore prima di essere tale è luce. Il processo di generazione dei colori è definito attraverso due condizioni: additiva e sottrattiva (fig. 2). La sintesi additiva è la generazione diretta dei colori fondamentali (RGB) attraverso la sola luce. La sintesi sottrattiva è il processo di generazione indiretta dei colori, ovvero è relativo al colore della materia investita da un raggio di luce. Per capire ciò che accade dobbiamo pensare l’oggetto o il materiale come una entità passiva, incolore (è una condizione immaginaria), invertendo così quel processo percettivo che ci fa pensare le cose già propriamente colorate. Ogni materia possiede una sua “sensibilità epidermica” elettiva in grado di assorbire selettivamente lo spettro della luce incidente. Un oggetto sottoposto a luce bianca (con le tre componenti RGB al 100%) mostra quindi il suo colore naturale, ad esempio rosso. Ma se sopprimiamo la componente R alteriamo il fascio di luce che lo investe, ottenendo una colorazione differente dell’oggetto. Il corpo non potrà più riflettere ciò che abbiamo soppresso e per di più abbiamo soppresso le stesse lunghezze d’onda che l’oggetto è in grado di riflettere meglio. Le componenti estranee alle lunghezze d’onda del rosso verranno assorbite e l’oggetto non potendo riflettere alcuna lunghezza d’onda rimarrà… buio! È una estremizzazione teorica del problema che difficilmente può trovare una applicazione pratica.
Questi due processi possono essere immaginati come due momenti di un unico fenomeno, ma la difficoltà di ragionare direttamente per sintesi additiva rimane un ostacolo percettivo notevole. Siamo culturalmente molto più sensibili alla sintesi sottrattiva, essendo questa strettamente legata all’esperienza pratica che ci ha visto materialmente impastare i colori più di quanto non abbiamo fatto con la luce. Ma il computer attraverso il monitor oggi sta spostando l’ago della bilancia in direzione additiva, aggiungendo un contributo di esperienza notevole nella riproduzione del colore sotto sintesi luminosa diretta.
In figura 3 la finestra (da Corel Photopaint) mostra la rappresentazione del colore in RGB, dove R+G dà il Giallo. Invece la finestra di figura 4 (da Corel Draw) è in CMY (K lo trascuriamo essendo nero in aggiunta per i limiti fisici legati ai pigmenti e ai supporti cartacei), dove Y+C dà il Verde, cosa che ci appare di gran lunga più familiare (fig. 5).
Detto ciò, cominciamo ad entrare nel problema. La relazione tra colore e lunghezza d’onda, tra percezione e dato numerico, è analoga alla determinazione del diapason in campo acustico. Si è preso un campione di persone alle quali è stata sottoposta una serie di test cromatici per determinare la relazione tra composizione spettrale e colore. La commissione internazionale che si occupa di questi fenomeni (CIE, Commission Internationale de l’Eclairage) ha definito tre opportuni parametri: brillanza, tono e saturazione. In questo senso possiamo immaginare come anche in chiave sottrattiva una superficie perfettamente liscia e una ruvida pur essendo dello stesso colore risultino una più scura dell’altra. Il fenomeno è legato alla differente capacità di riflettere la luce da parte delle due superfici; quella più ruvida, sottoposta ad ingrandimento, presenta tante piccole escrescenze che riflettono la luce in molteplici direzioni e la deviano rispetto all’osservatore. In questo senso una superficie ruvida produce un coefficiente di brillanza o di riflessione puntuale (misurato rispetto ad un punto) più basso di una lucida, traendo in inganno la nostra percezione. Non possiamo ovviamente produrre un esempio concreto, essendo una rivista un supporto bidimensionale! In figura 6 è rappresentato schematicamente il processo geometrico della riflessione luminosa. Ogni colore ci appare con proprietà di brillanza differenziate e autonome a prescindere dall’intensità d’emissione.

Figura 6 – Differenti tipi di riflessione (speculare e diffusa). La nostra percezione visiva rileva le variazioni di intensità luminosa. Ovvero: i nostri sensi percepiscono le differenti capacità delle superfici di riflettere la luce. Questo vuol dire che due superfici con caratteristiche differenti, come quelle qui rappresentate, a parità di intensità di illuminazione incidente e ambientale, avranno coefficienti di riflessione differenti; il nostro occhio rileverà più luminosa quella liscia attribuendo all’ambiente, per rilevamento psicologico, una intensità luminosa percettivamente superiore.
Inoltre ammesso che sia possibile ottenere una perfetta riproduzione dello spettro cromatico con lunghezze d’onda tutte di pari intensità non è difficile immaginare come il processo della percezione ci faccia apparire alcuni colori, al cospetto di altri, con maggiore presenza e più luminosi.
In figura 7 è visibile, nei limiti consentiti dai processi di stampa, lo spettro cromatico “completo”, che pur rappresentando una approssimazione riesce comunque a soddisfare la condizione percettiva minima adatta a rilevare quali siano le lunghezze d’onda per noi percettivamente più forti: il giallo e il rosso. Il rosso è uno dei colori della terna per il quale abbiamo dei recettori dedicati ed è il colore che più stimola la nostra percezione. Non a caso lo troviamo come evidenziatore di situazioni pericolose! (Fig. 8).
Il peso percettivo del rosso è talmente elevato da controbilanciare pesi cromatici con estensioni superficiali superiori. Ciò è riscontrabile attraverso la figura 9.

Figura 9 – Peso del colore: osservando i due rettangoli possiamo notare come, con la semplice inversione dei colori rosso e blu, questi determinino un differente rapporto con l’osservatore. Il peso percettivo del rosso è molto alto e, per controbilanciarlo, gli altri colori devono avere una estensione superficiale maggiore. Il rosso stimola i recettori della percezione come nessun altro colore. Il giallo, per esempio, pur possedendo proprietà analoghe, non riesce ad avere una stimolazione percettiva autonoma. Il suo aspetto comunicativo è particolarmente legato al colore dello sfondo sul quale è inserito; su fondo bianco perde quasi totalmente forza comunicativa, mentre, su toni scuri, come il verde, acquista una rilevanza paragonabile a quella del rosso. La caratteristica percettiva di quest’ultimo è quella di attivare i recettori nello stesso modo, vuoi che si trovi su fondo chiaro, vuoi su fondo scuro.
Il giallo, invece, pur non appartenendo alla terna dei recettori dedicati, ha valenza analoga al rosso. Questo è spiegabile in due modi. Il giallo in chiave additiva è ottenibile sommando rosso e verde ed è la concatenazione che più ci stupisce confrontandola con le altre due possibili, ciano e magenta, colori per certi versi indefinibili e che non rientrano nella scala del consueto. Il giallo, inoltre, in chiave sottrattiva è un colore base, non ottenibile per miscelazione. Queste due condizioni fanno del giallo un colore con caratteristiche uniche e particolari in entrambe le condizioni percettive.
La percezione inoltre segue logiche psicofisiche più o meno coscienti, tendenti alla ricostruzione del convenzionale e del conosciuto. Traduce automaticamente in normalità eventi e processi mentali in conflitto o illogici, attribuendo la conseguenza più logica. Il cervello, in sostanza, rifiuta la destabilizzazione. La prossima volta vedremo alcuni esempi grafici, relativi agli argomenti sin qui trattati teoricamente, cercando di stimolare i recettori della nostra percezione visiva.
di Marco Valerio Masci
da Digital Video n. 10 febbraio 2000