Attualmente Digital Video Home Theater pubblica tre misure dirette di potenza degli amplificatori per uso multicanale: quella in funzione del modulo di carico (con segnale continuo e per treni d’onda di 40 millisecondi, entrambe con due soli canali in funzione tra tutti quelli presenti) e quella con segnale continuo e tutti i canali eccitati. L’esperienza maturata nel corso di questi anni ha però dimostrato che questi soli dati non bastano per caratterizzare compiutamente la capacità dinamica di questa tipologia di componenti, ed abbiamo pertanto sviluppato un nuovo test.
Alla fine del 1984 il sottoscritto, allora collaboratore di Stereoplay, venne soverchiamente convinto dall’allora direttore di quella audiofilisticamente gloriosa testata ad imbarcarsi in una delle imprese più massacranti di tutta la propria carriera lavorativa, perlomeno in termini di intensità, ovvero la prova contemporanea di 9 amplificatori integrati di fascia media e di elevata potenza (in media, oltre 100 watt nominali per canale). Erano gli albori dell’era del CD, che era stato presentato pochissimi anni prima e solo in quel momento stava iniziando ad essere un oggetto interessante in termini di fatturato, per quanto i CD player fossero pochi e tutti quotati oltre le 700 kilolire (di allora). Di quell’impegno improbo ricordo, oltre alle molte decine di ore passate in laboratorio, in sala d’ascolto ed in compagnia del pure glorioso Commodore 64 usato per redigere gli articoli, soprattutto una circostanza tecnicamente insolita: pressoché tutti gli apparecchi usavano accorgimenti specifici per ampliare l’efficienza energetica, e ben 3 su 9 adottavano una alimentazione bi-livello, soluzione inventata qualche anno prima dalla Hitachi ed utile per ottenere un netto decremento dei costi a parità di potenza massima erogabile. Il motivo di tanta attenzione al parametro “energia” era abbastanza evidente: la grande dinamica della nuova sorgente digitale aveva spinto i progettisti a disegnare amplificatori che, a parità di costo rispetto ai modelli equivalenti di qualche anno prima, fossero in grado di erogare potenze massime sensibilmente più elevate, onde limitare il clippaggio dei “picchi” di segnale.
Mutatis Mutandis, quel che sta avvenendo ora nell’audio-video richiama da vicino quel periodo. Gli ambienti di ascolto e visione sono necessariamente sempre quelli, gli apparecchi non possono essere più grandi né molto più pesanti di quelli delle generazioni stereofoniche, ma al loro interno devono convivere non più solo 2 ma bensì almeno 5 canali, quando non 7, più tutti i circuiti accessori che prima non servivano (sezioni di connessione digitale, decoder, ingressi ed uscite ausiliari, etc.). Poiché, a differenza della vecchia codifica analogica Dolby Surround, con le codifiche digitali (AC3, DTS, futuri DVD Audio e SACD) tutti i canali possono ospitare segnali a piena banda e di identico massimo livello, ne consegue che, perlomeno nei componenti di fascia economica e media, i progettisti siano di nuovo sollecitati ad escogitare escamotage utili a conseguire risparmi sul dimensionamento energetico, da sempre una delle voci più “pesanti” in termini di costi finali.
Le prove di laboratorio che effettuiamo tutti i mesi confermano questo trend: in generale, gli amplificatori grandi, pesanti e costosi riescono a soddisfare i dati di targa di potenza continua anche con tutti i canali in funzione, seppure talvolta con qualche limitazione di pilotaggio rispetto alle impedenze di carico più difficili, ma negli altri si osservano spesso forme diverse di cedimento. In questi casi, in genere, le misure di potenza dinamica (ovvero effettuate con segnali brevi e lentamente ripetuti nel tempo) sono allineate od eccedono quelle dichiarate dal costruttore, mentre le misure di potenza continua sono inferiori.
Ne deriva una necessità, quella di quantificare in che modo questa potenza varia rispetto al tempo, sia per prevedere a grandi linee il comportamento dinamico in sala d’ascolto degli amplificatori sotto test sia per discriminarli reciprocamente.
La potenza in funzione del tempo
La potenza dinamica che attualmente riportiamo nella misura di CCL (Curve di Carico Limite) viene misurata eccitando due soli canali tra tutti quelli disponibili ed analizzando spettralmente un treno di sinusoidi (burst) lungo 0.04 secondi, con una frequenza di ripetizione di un treno ogni 2.5 secondi. Da oggi riporteremo, oltre a questa misura, anche un grafico in cui in ascissa figura il tempo, ovvero la durata del treno d’onde eccitatore, ed in ordinata l’incremento della potenza misurata rispetto alla condizione peggiore, ovvero con segnale continuo applicato. Il tutto mantenendo fisso il ciclo di servizio (duty cycle) di 2.5 secondi ma eccitando contemporaneamente tutti i canali disponibili, ed effettuando la misura per 3 diversi valori di resistenza di carico (8, 4 e 2 ohm, a meno che l’intervento delle protezioni non impedisca il rilevamento). L’asse dei tempi prescelto è scalato logaritmicamente tra 6 e 600 millisecondi, con una risoluzione comunque limitata a 6 ms perché, per tutti i valori di tempo, la lunghezza della finestra di segnale analizzata (che cade ovviamente alla fine del treno d’onde sotto test) è lunga 5.33 ms, e scendere ancora al di sotto non avrebbe aggiunto informazioni importanti. Il limite superiore, che rappresenta quasi 1/4 del duty cycle, è ampiamente sufficiente a descrivere compiutamente il comportamento degli amplificatori “normali”, alias quelli privi di accorgimenti tesi al risparmio energetico (ovvero a minimizzare il costo delle alimentazioni e dei finali), ed al contempo è sufficientemente restrittivo da mettere in luce i limiti concreti di tutti gli altri, tenendo ovviamente presente che stiamo trattando di componenti studiati per riprodurre la musica o comunque l’ambientazione sonora di un film, non amplificatori da palco o da laboratorio. I lettori audiofili di più lunga data ci perdoneranno se, ad usum di tutti gli altri, vogliamo qui ricordare che nessun suono “naturale” è in qualche modo assimilabile ad un suono stazionario, neppure quelli intrinsecamente più “tranquilli” quali le quasi-sinusoidi emesse da un organo a canne, e che i tempi di permanenza dei massimi segnali presentano escursioni che vanno dai pochi microsecondi di un semplice semiciclo di segnale fino, approssimativamente, ad alcune centinaia di millisecondi. Inoltre occorre tenere ben presente che sono molto rari i casi in cui i massimi segnali si presentano contemporaneamente su tutti i canali, per cui l’adozione di un tempo di prova massimo di 0.6 s ogni 2.5 appare comunque congruente con la realtà operativa.
L’utilizzo di una scala temporale logaritmica, ovvero tale da “espandere” lo spazio occupato dai treni d’onda di breve durata, è funzionale alla discriminazione del comportamento soprattutto degli amplificatori convenzionali, perché la caduta esponenziale dell’energia di riserva accumulata nei condensatori di filtro avrebbe altrimenti comportato la flessione rapida di tutte le curve misurate, a prescindere dal dimensionamento della sezione di filtraggio, con conseguente difficile interpretazione dei risultati. Anche la scala dei livelli è logaritmica e tarata in dB, in questo caso per poter “assorbire” le grandi differenze comportamentali dei vari tipi di amplificatori in commercio ed agevolare quindi i confronti. Per ottenere la massima potenza disponibile per ogni canale su uno dei carichi di prova in corrispondenza ad una determinata durata temporale basta leggere il valore in dB ed effettuare una conversione molto semplice, ovvero:
Wd = Ws x 10^(dB / 10)
ove
Wd = potenza stazionaria
(riportata alla base del grafico)
Ws = potenza stazionaria
dB = incremento dinamico
Ad esempio, un incremento di 1.5 dB rispetto ad una potenza stazionaria di 123 watt significa una potenza dinamica, per la durata temporale considerata, di 174 watt.
Interpretazione dei risultati
Ai neofiti potrà apparire strano, ma l’amplificatore ideale è quello che non presenta alcun incremento dinamico della potenza impulsiva, ovvero produce un grafico potenza/tempo vuoto, purché associato ad un carico limite ben verticale, ovvero ad una erogazione energetica che cresce quasi linearmente al diminuire del modulo di carico. I motivi tecnici che giustificano questa affermazione richiederebbero uno spazio notevole per essere illustrati, qui diremo semplicemente che una potenza variabile rispetto al tempo comporta una alimentazione variabile, e tutto ciò che è variabile si “trasmette” (conduttivamente od induttivamente) con grande facilità e può in piccola misura influenzare la qualità finale. Per ottenere l’indipendenza della potenza dal tempo non c’è che un modo: utilizzare una alimentazione completamente stabilizzata, una scelta estremamente costosa in sé e che incrementa ulteriormente i problemi di dimensionamento e capacità di scambio termico. Basti dire che in 22 anni di analisi effettuate su amplificatori “solo” stereofonici, chi scrive ha incontrato appena 3 componenti dotati di una adeguata alimentazione stabilizzata, tutti di classe alta od addirittura stratosferica (Mark Levinson 20.6). Per vedere finali multicanale dotati di alimentazione stabilizzata dovremo attendere probabilmente qualche nuovo sviluppo tecnologico, nel frattempo è importante saper “leggere” almeno in modo qualitativo il grafico potenza/tempo. In generale i comportamenti sono ascrivibili a due categorie:
- Amplificatori convenzionali: ovvero quelli dotati di alimentazione costituita semplicemente da un trasformatore, da un rettificatore e da condensatori elettrolitici di filtraggio. Questi amplificatori presentano in genere erogazioni impulsive elevate per tempi brevi (e peraltro tanto più persistenti quanto maggiore è la capacità di filtro), perché l’energia immagazzinabile in un condensatore è comunque piccola rispetto a quella assorbita per unità di tempo dal carico, e producono curve potenza/tempo decrescenti in modo approssimativamente lineare sulla scala logaritmica di rappresentazione. In questi casi, oltre alla mancanza di limitazioni rispetto ai moduli di carico bassi (verificabile a colpo d’occhio sul carico limite), è da valutare positivamente che gli aumenti siano inversamente proporzionali al modulo di carico, poiché ciò è significativo di circuiti capaci di erogare correnti considerevoli anche su carichi esigenti. Per contro, se gli aumenti raggiungono valori elevati (dell’ordine di 4 / 5 dB per tempi brevi su 2 ohm), ciò significa che il trasformatore presenta una resistenza elevata e/o un basso flusso di saturazione, ovvero è un componente relativamente economico e non adeguato ad impegni gravosi su carichi non facili.
- Amplificatori a “risparmio energetico”: quelli che presentano una netta differenziazione tra le due curve di carico limite, con quella dinamica “prestante” e quella stazionaria “cedente”. Questi componenti non possono in alcun modo essere valutati a partire dalla potenza con segnale continuo, e per essi il solo grafico rivelatore è proprio quello potenza/tempo, associato come sempre al carico limite. In questi casi, il comportamento dinamico dell’amplificatore nelle condizioni più impegnative è con buona approssimazione quantificato, per ogni modulo di prova, dalla potenza erogata per burst di durata pari almeno a 300 / 400 ms. Ma attenzione: quasi tutto dipende dal programma sonoro riprodotto. Per quanto altamente improbabile, nulla vieta in teoria di ipotizzare situazioni (magari create ad arte proprio dal regista o dal fonico) in cui a tutti i canali è richiesta l’erogazione contemporanea della piena potenza per tempi relativamente lunghi. E, al contempo, se un alimentatore è dimensionato per sostenere una massima corrente complessiva (somma di quella assorbita da tutti i canali) limitata a quella massima assorbibile da non più di 2 / 3 canali, nella pratica totalità delle situazioni reali tutti i canali presenti offriranno una dinamica utile quasi pari a quella massima di un singolo canale usato da solo. In realtà, con gli amplificatori ascrivibili a questa tipologia, è pressoché impossibile fornire indicazioni categoriche, ma ad ogni buon conto il grafico potenza/tempo permette di confrontarne rapidamente ed oggettivamente le prestazioni massime.
Tre amplificazioni in prova in questo numero
Il nuovo integrato Denon è improntato alla stessa filosofia costruttiva e prestazionale del poderoso fratello maggiore AVC-A1D, che provammo lo scorso anno, ed è dotato di un possente alimentatore convenzionale, che gli consente di erogare una potenza sensibilmente più elevata del valore nominale anche con tutti i canali impegnati e segnale continuo, eccezion fatta per i moduli di carico minori di 2.5 ohm, laddove intervengono i disgiuntori delle uscite. Proprio la generosità dell’alimentazione mantiene relativamente bassi gli incrementi di potenza in regime dinamico, e tuttavia su 4 ohm, per burst brevi, si raggiungono i 5 x 337 watt indistorti. Con il suddetto, unico e marginale vincolo sul minimo modulo alimentabile, si tratta di un amplificatore capace di una dinamica notevolissima in ogni condizione utilizzativa.
Come ben si evince dal carico limite, il finale Marantz presenta il comportamento tipico dei finali “rocciosi” fino ad un modulo di carico di circa 3 ohm, soglia sotto la quale intervengono le protezioni (sensibili alla sola corrente) e quindi l’erogazione viene limitata con progressione lineare. Questo assetto costruttivo viene confermato anche dal grafico potenza tempo: quasi irrilevante l’aumento dinamico su 2 ohm, comunque modesto quello su 8 e 4 ohm, come si conviene ad un alimentatore a bassa resistenza interna. L’intervento ritardato dei disgiuntori rispetto ai limitatori consente comunque una certa compatibilità con moduli di carico minimi molto bassi, anche inferiori a 3 ohm.
Quello dell’integrato Yamaha è il comportamento classico degli amplificatori dotati di una buona alimentazione tradizionale, non dimensionata per raggiungere la piena potenza anche con tutti i canali in funzione e tuttavia largamente capace di sopperire alle necessità di carico più ingenti, anche su moduli bassi e per tempi musicalmente lunghi. La curva relativa al modulo di 2 ohm non compare perché, solo in regime stazionario, su tale modulo i disgiuntori delle uscite intervengono prima dell’instaurarsi dei primi fenomeni di saturazione. Le altre due curve mostrano incrementi dinamici del tutto normali, con un valore massimo di 5 x 196 watt su 4 ohm per burst da 6 millisecondi.
di Fabrizio Montanucci
da Digital Video n. 13 maggio 2000