Le prime misure sui videoproiettori

Ci siamo. Dopo tanto parlarne, siamo arrivati al redde rationem: avanti con le misure! Non è stato semplice, anche perché, lo dico io al posto del direttore che è parte diretta in causa, non crediate che gli strumenti vengano regalati; anzi! Poi si rischia di sbagliare la scelta, e bisogna anche imparare a sfruttarli al meglio… Insomma, una babele di sollecitazioni di vario genere, del tutto interessanti, lasciatemelo dire, ma sicuramente non tali da venire esaurite nel corso di breve tempo. Appunto per questo vi dico anche che inizialmente, come tutte le cose nuove, potrebbe essere necessario effettuare degli aggiustamenti di tiro (non mi venite a raccontare che la prima volta che lo avete fatto eravate meglio di Rocco Siffredi!). Questo significa che il set di misure che vi presentiamo oggi potrà essere arricchito e/o modificato nel corso del tempo: cosa del tutto analoga, del resto, è avvenuta con la consorella AUDIOreview nel corso degli anni.

Il logo ISF.

Il logo ISF.

Vi racconto ora una delle ultime fasi di questa ricerca. Vi ho detto poco tempo fa, e lo ripeto per la maggioranza che non legge sempre DVHT, che sono stato a Las Vegas per il CES, la più grande mostra di elettronica del mondo. Dopo la fine della kermesse, era possibile partecipare ad un corso (naturalmente a pagamento ed affatto economico), organizzato dalla ISF. Cos’è l’ISF? L’acronimo sta per Imaging Science Foundation, una organizzazione (a scopo di lucro) fondata dal mitico Joe Kane e dal suo “compare” Joel Silver. Il primo, un mitico personaggio del mondo video americano che ha lavorato alla Kodak, ha fatto parte della SMPTE (la società americana che definisce gli standard del sistema NTSC), ed è ora consulente di una serie interminabile di aziende che richiedono i suoi illuminati consigli per la definizione delle strategie di prodotto. Un esempio a caso? Il Cassini con il quale vi ho sbomballato per svariate puntate è stata una sua scoperta, mica mia: io mi sono limitato ad andarlo a prendere e verificare che ne valesse la pena. In altri termini, una specie di genietto. Che alcuni anni fa, dato che gli americani sono capaci di fare soldi anche dal deserto (vedi la costruzione di Las Vegas), ha dato vita insieme al suo amico Joel Silver, alla ISF, appunto. Ed ha fatto parecchi soldini, da quello che ho capito, perché loro sono bravi ed il mercato c’è. Che mercato? Quella del servizio professionale di taratura dei proiettori. Perché l’ISF vi fornisce tanto di bollino blu che certifica il fatto che, dopo avere partecipato ai loro corsi ed aver compreso teoria e pratica dei sistemi colore, siete in grado di fare un lavoro con i fiocchi per far rendere al meglio un sistema di output delle immagini. Questo è ciò che insegnano ai corsi, ed è il motivo per cui, oltre a parteciparvi, ho chiesto consiglio su quale dei sistemi che avevamo individuato fosse il migliore per venire in possesso di una strumentazione volta a dare un riscontro alle nostre prove, per andare al di là del “si vede bene” o “ fa letteralmente schifo”. La trattativa è stata davvero divertente, perché ad un certo punto Joel Silver (Joe Kane nel frattempo ha lasciato l’ISF), preso diretto carico della faccenda, mi ha chiesto un certo numero di dollari e sei bottiglie di Brunello di Montalcino! Questo significa che il prodotto italiano è apprezzato nel mondo, e mi si sono gonfiati i polmoni di orgoglio tricolore.

L’analizzatore di colore della Sencore.

L’analizzatore di colore della Sencore.

Di cosa è venuta in possesso la redazione di Digital Video? Di due strumenti per effettuare misure e calibrazioni su ogni tipo di sistema di proiezione (tritubi, DLP, D-ILA, LCD ed anche TV). Un analizzatore di colore ed un comparatore ottico. Che sono? Tralasciamo per il momento il secondo, che serve sostanzialmente a “precalibrare” un tritubo per rendere la sua temperatura di colore il più possibile uguale ai 6500°K.
Il primo invece è un sistema, prodotto dalla Sencore, denominato CP288, che va collegato alla seriale di un computer, ed attraverso l’impiego di uno specifico software, si incarica di una serie di misure.
Credo che la materia sia del tutto nuova per l’Italia, e, se perdonate un moto di autocelebrazione che spero non venga smentita nel prosieguo, mi pare di vedere che il set di misure per i sistemi di videoproiezione che abbiamo messo in piedi non trovi riscontro in nessuna altra rivista a me conosciuta: e sto parlando anche di quelle americane.

Le schermate del software della Sencore.

Le schermate del software della Sencore.

Naturalmente, per rendere le misure quanto più possibile oggettive, ci siamo dotati di un generatore di segnali video. Perché? Per non introdurre variabili esterne nel corso dell’esecuzione della misura. Che vuol dire, in parole povere? Le immagini di prova che genera il nostro oggetto sono le stesse, più o meno, che si trovano sul mai tanto lodato Video Essentials, il DVD che uso per la taratura di un qualunque oggetto mi passi tra le mani. Però c’è un piccolo elemento da considerare: se vogliamo misurare un sistema di proiezione, è necessario che non ci siano altre variabili all’interno della catena in grado di dare il loro piccolo contributo e disturbare nell’esecuzione della stessa. Se impieghiamo un DVD di test, dobbiamo necessariamente avere un lettore dove questo funzioni: e chi ci assicura che l’hardware che stiamo impiegando, fosse anche il migliore del mondo, sia un vero e proprio “filo” di trasmissione di ciò che il DVD contiene? Nessuno, e pertanto è meglio non fidarsi.

Questa osservazione serve a precisare che nel caso del problema inverso, ovvero non la misurazione oggettiva delle prestazioni di un sistema, ma la ricerca della taratura ottimale, sia invece indispensabile operare proprio con tutti gli elementi della catena che normalmente impieghiamo, dal DVD al processore video fino ai cavi ed al videoproiettore, all’interno dello stesso ambiente ed in analoghe condizioni, per avere la certezza di avere a punto il nostro sistema, e non quello del negoziante! Il nostro generatore video è uno strumento prodotto dalla Fluke (chi ha un background ingegneristico avrà il sapore del déjà vu), che, ovviamente, si chiama Video Signal Generator, modello 54100, ed è in grado di produrre pattern sia in 4:3 che in 16:9 (e questi, vista la produzione di DVD largamente orientata verso questo tipo di formato, sono quelli che abbiamo impiegato), di svariata tipologia, a seconda del tipo di misure che si vogliano realizzare. Abbiamo così sia grafici di riferimento tipo i classici cerchi e reticoli, sia quelli a sfondo “scacchiera” che vengono impiegati per la misura di contrasto, che bianchi a vario livello, scale di grigi, barre di colore, multiburst, PLUGE e via discorrendo. Chiaramente non essendo questo il manuale d’uso dello strumento, vi dovete accontentare di questa rapida disamina delle caratteristiche di base.
Bene, la prima raccomandazione è di andarsi a studiare, se possibile, gli articoli pubblicati sugli ultimi numeri da DVHT, in particolare quello di Fabrizio Montanucci sul numero 9.
È indispensabile per comprendere una parte della teoria che sostiene le misure che abbiamo realizzato.

La temperatura di colore e l’equilibrio cromatico

Partiamo dalla prima considerazione. Sappiamo, perché ce lo ha detto anche Fabrizio nel citato articolo, che questa dà una quantificazione del colore di un corpo, ottenuta pensando di riscaldare un corpo nero fino ad una certa temperatura, appunto. Pensiamo ad un fabbro, con in mano un ipotetico oggetto come il nostro “corpo nero”, tanto nero da non riflettere proprio nulla, ed assorbire tutta la luce che gli cada sopra. Bene, già questo ci fa capire il livello di astrazione… ma tant’è, questo è lo scotto da pagare ai modelli matematici. Ora, il nostro fabbro insiste, e riscalda ancora il suo oggettino. Che cosa succede? Per capirlo è necessario guardare il fondamentale diagramma di cromaticità sulle coordinate x ed y redatto dalla CIE (Commission Internationale de l’Eclarage) nel 1931, che fu pensato proprio per mettere in chiaro il comportamento dell’occhio umano nella percezione dei colori.

Il generatore di segnali video Fluke 54100.

Il generatore di segnali video Fluke 54100.

Quello che noi vediamo è in realtà una cosiddetta cross-section (non vi spaventate per il termine) del grafico, che è un solido tridimensionale. Noi operiamo su due grandezze, che potete trovare definite come x e y. La terza coordinata spaziale, ovvero la Y, rappresenta l’intensità luminosa, e per la precisione, a valori crescenti si va verso il massimo della luce (il bianco); scendendo, come è facile intuire, abbiamo il nero, che corrisponde, facile a dirsi, all’assenza di luce. Come detto, noi operiamo su un taglio di questo solido nello spazio: definiamo un valore di illuminazione che ci viene dato dallo strumento, ovvero l’intensità luminosa che il videoproiettore è in grado di fornire, e su questo andiamo a leggere le grandezze che ci interessano.
La forma a “pinna di squalo” della curva CIE vuole rappresentare, con buona approssimazione, la sensibilità dell’occhio umano ai colori. È chiaro che questo dà luogo ad un livello di arbitrarietà notevole, tant’è che per l’alta definizione è stata pensata una curva leggermente diversa (nel 1976, per la precisione), ed i valori contenuti dentro o fuori di essa non possono essere presi come riferimento assoluto. Un esempio? Quanti tipi di verde ci sono? Muovetevi all’interno dei valori di x ed y che sono verso quella zona, e vediamo se riuscite a definire in modo univoco quale sia il “vero” verde: ognuno ha il suo, per me può essere quello del prato sotto casa, per un altro quello degli alpeggi montani, per qualcun altro ancora potrebbe essere dato dalle foglie degli aceri in autunno in un periodo che va dall’8 al 13 ottobre, e così via.

Il fondamentale diagramma CIE.

Il fondamentale diagramma CIE.

I numeri riportati al di fuori di questa curva rappresentano la lunghezza d’onda, espressa in nanometri, e definiscono una importante informazione, anche se a mio avviso non del tutto fondamentale per i nostri scopi. Infatti credo che ad ognuno di noi interessi rappresentare nel modo più sintetico possibile le prestazioni del proiettore che stiamo valutando, che, grosso modo, possono essere:

  • quanta luce mi dà?
  • come mi fornisce questa luce?
  • è lineare al variare dell’illuminazione?
Lo spazio colore CIE.

Lo spazio colore CIE.

Queste sono le prime domande di cui facevo cenno nell’introduzione a questo articolo. Non sono certo le uniche in grado di risolvere tutto lo scibile in materia, ma questa impostazione, ed i risultati che conseguono da queste prime misure, trovano un bel riscontro con ciò che ho visto osservando con fare critico i proiettori. Certo, se avessi evidenziato una dominante rossa e sullo schermo mi fossero apparse delle belle facce bluastre, avrei avuto qualche dubbio. Fortunatamente non è stato così, e finora abbiamo riscontro oggettivo. Ma andiamo avanti.
Perché è importante avere una temperatura di colore costante al variare dell’illuminazione? Semplice: dato che il bianco è tipicamente definito come “l’insieme di tutti i colori” ed invece il nero, all’opposto, “assenza di luce”, avere un comportamento lineare del mio dispositivo di proiezione al cambiare delle condizioni di illuminazione farà sì che non accada che le alte luci siano magari tendenti al rosso e le basse al blu piuttosto che al verde; o viceversa. Capito quanto sia fondamentale? Un videoproiettore che abbia un comportamento altalenante nella scala IRE (quella americana) o EBU (quella europea) non sarà mai in grado di tracciare in modo corretto non solo la scala dei grigi, che è l’insieme delle finestre a livello di illuminazione costante che impieghiamo per le misure, ma, in una situazione reale, non potrà garantirvi quella fedeltà cromatica che tanto ci costa (sto parlando di soldi, stavolta!). Un bel problema, no? Questo intanto ci dice che un dispositivo ideale dovrà avere (e nelle misure reali succede, davvero!) una retta bloccata sui 6500°K per dare il massimo risultato. E questa intanto è un’informazione utile a capire cosa ci dobbiamo aspettare e in che modo vanno letti i grafici.
Aggiungiamo per ora che i colori sul perimetro del diagramma CIE sono i colori puri, tipo quelli dell’arcobaleno o di una luce laser monocromatica pura, e che dalla combinazione di due qualunque punti nel piano CIE si possono ottenere tutti quelli che giacciono sulla retta congiungente i due punti. Lo stesso vale se i colori sono tre, con la differenza che invece di una retta abbiamo un triangolo: e se i colori sono i primari, tutte le sfumature possibili sono quelle contenute all’interno di questo triangolo.
Torniamo al nostro simpatico fabbro di prima, e lo vediamo intento a riscaldare il corpo nero: questo dopo un po’ avvampa e diventa rosso: questo è chiaro a tutti, no? Il primo rosso che si incontra nel nostro diagramma CIE è quello a destra (sembra davvero un’antinomia politica, ma oramai non ci si capisce più nulla…), sulla retta nera che descrive il suo comportamento. Se il nostro fabbro insiste e non gli bruciano le dita, all’aumentare della temperatura il corpo varierà di colore, diventando arancione (siamo all’incirca a 2000°K), e poi via via bianco. Questo fondamentale passo viene descritto a partire da circa 2800°K in poi, in cui varia il “colore” del bianco, appunto. Attenzione, perché questo passaggio è davvero importante: da 2800°K in su, fino a 20000°K, abbiamo tante sfumature di bianco, che tende sempre più ad un bluastro, che, da un certo punto in poi, non varia più.

Sintesi additiva dei colori.

Sintesi additiva dei colori.

C’è corrispondenza con un fenomeno abbastanza evidente: non tutti i “bianchi” sono uguali: provate a fare un ritocco sulla carrozzeria della vostra Punto con la vernice della Golf, poi mi dite che razza di pasticcio avete combinato! Quindi è corretto, anche a naso e non a scienza, andare a differenziare le varie tonalità secondo un criterio che sia scientifico, ovvero misurabile e ripetibile.
Abbiamo ottenuto la definizione di temperatura di colore, o colore del bianco, e compreso come il termine di quella linea, che si chiama proprio “curva del corpo nero”, sia un valore teoricamente infinito, che corrisponde a qualcosa di molto vicino al blu. Ma temperatura infinita significa molto caldo, peggio delle fiamme dell’inferno, o no? Eh già, e quindi parlare di luce “fredda”, come noi siamo abituati a fare parlando di dominanti blu, è un controsenso. Scusate se sto generalizzando qualcosa che magari faccio solo io, ma da sempre, entrando in una stanza e vedendo una lampada al neon, che tende al blu, ho pensato “Che razza di luce fredda c’è qui dentro!”, come, analogamente, guardando lo schermo di un computer che, in genere, è tarato su valori di temperatura di colore alti. La verità allora è che:
luce blu => temperatura di colore calda
luce rossa => temperatura di colore fredda
A me sembra il contrario di ciò che avevo da sempre in testa, eppure è così…
Perché questo è importante per noi? Ricordiamoci che se il nero è definito come “assenza di luce”, ovvero zero colore per tutti i colori primari che compongono ciò che vediamo, al contrario il bianco è la “presenza di tutta la luce”, ovvero il valore complessivo che riusciamo a percepire. Non in modo uguale per tutti i colori, come dobbiamo ricordare con l’uso di una semplice espressione che vi ammanniamo spesso sulle pagine di DVHT:
Y = 0.299R + 0.597G + 0.114B
Che ci fa vedere in pratica come il nostro occhio sia più sensibile al verde, che compare con un peso che è circa due volte il rosso e quasi sei il blu. Non ci credete? Provate a fare la taratura di un videoproiettore, malfidati che non siete altro! La messa a fuoco del verde va via liscia come l’olio, al rosso cominciate a pensare “Forse mi sono stancato, è un po’ tardi”; quando finalmente passate al blu, che quei maleducati di progettisti vi hanno sistemato per ultimo, il commento è invariabilmente “Domani devo chiamare l’oculista, chissà com’è che non si vede un accidente…”. Già, il nostro cervello ci propina queste fregature, e gli scienziati non possono fare altro che prenderne atto con la relazione matematica che vedete sopra, che è pura realtà.
Convenzionalmente, è possibile associare una temperatura di colore correlata (CCT) ad ogni terna di valori RGB, ma, per quanto vi ha già raccontato sul numero 9 di questa rivista Fabrizio Montanucci, solo nel caso che tutti questi tre valori giacciano su una curva di Planck è possibile definire una corrispondenza biunivoca tra temperatura e coefficienti RGB. Negli altri casi, ovvero in pratica tutti gli altri, la CCT viene ricavata da due sole componenti (tipicamente blu e rosso) e serve solo a dare un’indicazione approssimativa del bilanciamento cromatico.
Una nota rivista americana (stavolta non faccio il nome, perché non sarebbe carino, ma non è difficile scoprire quale sia) pubblica dei bei grafici con la misura della temperatura di colore: solo quella. Bene, e questo l’ho pensato facendo le prime prove, è stato oggetto di lunghe disquisizioni all’interno della redazione e, per ulteriore sicurezza me lo ha confermato anche Joel Silver della ISF: la sola temperatura di colore non descrive in modo soddisfacente le caratteristiche di un dispositivo di proiezione. Perché? Ma per il semplice motivo che, potendosi ottenere più valori, nel diagramma CIE, caratterizzati da uguale temperatura di colore ma posizionati in luoghi diversi del piano, potremmo anche incappare in un valore di gradi Kelvin giusto a cui corrisponde una composizione RGB del tutto sballata! E questo è confermato dalle misure effettive: ho necessità di dire “quanto” sono distante dai corretti valori dei primari, sempre tenendo presente quanto detto prima, e cioè che devo fissarne uno che mi faccia da riferimento. Per questo trovate dei grafici ad istogramma che vi informano su come varino R e B una volta che G ci faccia da punto fisso. Una delle tabelle che troverete all’interno delle misure esprime proprio questo: quanto manca, o è di troppo, per i valori di due colori una volta assunto il terzo come riferimento, o, detto diversamente: stabilito che il nostro colore sia composto da una certa percentuale di verde, a questo corrisponde un tanto di rosso ed altrettanto di blu.
Sull’asse delle ascisse, ovvero la grandezza in ingresso, è rappresentata da valori di luminosità crescenti, dal 10% al 100%, che corrisponde a 0.714 V di tensione applicata. Lo zero, ovviamente, corrisponde al nero, il 100% al bianco pieno.

La misura di luminosità/uniformità

Quantità di luce che fornisce il proiettore. È chiaro che si tratta di una delle domande che caratterizzano la materia, nonché una delle più classiche: “Quanto è luminoso quel proiettore?”. Sembra quasi che questo parametro, dato che è relativo ad uno strumento che si occupa di emettere luce, sia il più importante. Dissento profondamente sia da questa impostazione che dalla sempre più sfrenata rincorsa a dichiarare valori di ANSI lumen spropositati, che ha costretto seri costruttori a scrivere dati di fantasia nelle specifiche di prodotto, per non venir travolti da una concorrenza che, magari con prodotti del tutto simile, sbandierava dati eclatanti. Il Sencore CP288 permette di scegliere come unità di misura del valore di luminosità letto dallo strumento i footlambert, di chiara origine americana, e le cd/mq (candele per metro quadro), che invece sono un valore europeo. Chiaramente, useremo le cose di casa nostra, per rimanere all’interno di grandezze paragonabili a qualcosa di concreto come i metri quadri. Se non ho fatto male i conti (!), la relazione dovrebbe essere 1 footlambert = 3.4258 cd/mq.

Il cubo dei colori RGB.

Il cubo dei colori RGB.

Con quali pattern e modalità viene eseguito il test? Si parte da uno schermo con il 100% di bianco, nel quale si individuano 9 punti, punto di intersezione delle diagonali, nei quali si va ad effettuare la misura con lo strumento. Per la presenza di vignettatura delle ottiche e/o altri fenomeni legati alla tecnologia di generazione della luce, l’illuminazione non è uniforme rispetto alla posizione, risultando generalmente maggiore al centro rispetto ai bordi. Oltre quindi al valore di luminosità assoluta, legato ovviamente alla capacità della macchina in prova di generare luce, il parametro “uniformità” appare forse almeno altrettanto importante, sebbene quasi sistematicamente negletto nei test effettuati un po’ in tutto il mondo. La misura viene quindi rappresentata su un rettangolo in proporzione 16:9 ove, sui nove punti standard di riferimento, sono indicati i valori misurati di luminosità in nit (cd/mq) e gli scostamenti percentuali rispetto al settore centrale. Dato che in linea di massima si cerca di standardizzare, noi impieghiamo abitualmente uno schermo da 244 cm di larghezza (120”), ovvero da 200 cm circa (100”). Qualora questo non sia possibile, per limiti fisici dell’ottica della apparecchiatura la diversa area sulla quale si effettua la misura viene rilevata ed il dato corretto, affinché i numeri che leggete siano sempre confrontabili.
Per modalità costruttive di DLP ed LCD, il dato che si ottiene è abbastanza indipendente dal tipo di pattern impiegato; questo non è invece vero per un CRT, il quale adegua la sua intensità massima al valore medio che c’è sullo schermo. Che vuol dire questo? Che i valori di luminosità che si ottengono, derivati da un processo di misura standard, sono riferiti ad uno schermo uniforme il cui valore penalizza il CRT, che, se messo alla prova con immagini “finestrate”, dove cioè la superficie illuminata fosse di dimensioni inferiori, darebbe valori di luminosità più elevati. Questo va correlato con le sensazioni soggettive di visione, per cui non può certo essere preso come parametro unico di riferimento: il fatto che tecnologie come il CRT abbiano, o possano avere, valori di luminosità inferiori ad altre (in questo specifico tipo di test), tipo gli LCD, non significa nulla dal punto di vista della godibilità dell’immagine proiettata.

La linearità al variare del livello di illuminazione

Veniamo ora ad una misura che, seppur apparentemente semplice nella teoria, non ho mai visto realizzata su riviste analoghe alla nostra, in nessun mercato. Significherà che sono tutti dei mentecatti e solo noi siamo genietti? Non credo, però forse la voglia di capire e mostrare anche a voi i risultati del nostro lavoro ci spinge ad approfondire gli argomenti e tirare fuori delle considerazioni in più dai dati rilevati.
Per comprendere di cosa stiamo parlando, dobbiamo avere chiaro un concetto, che è stato più volte ripreso sulle pagine della nostra rivista, che è quello del gamma. Oltre ad essere la terza lettera dell’alfabeto greco, in campo video cosa rappresenta? Cercando di essere il più sintetici ma corretti possibile, diciamo che l’intensità luminosa prodotta da un dispositivo fisico di riproduzione del colore non è una funzione lineare del segnale applicato. Cioè, direte voi? Facciamo un brutale esempio: applico 0.1 volt in ingresso al mio sistema, e trovo sullo schermo qualcosa che rappresenti questo volt, chiamiamolo “Bubu”: bene, se passo a 1 volt, non ottengo 10 “Bubu”, ma un’altra quantità. La relazione che intercorre tra l’ingresso e l’uscita, che è di tipo esponenziale, viene proprio descritta dal valore di questo esponente, il gamma, appunto, che assume valori che orbitano intorno a 2.5.
Cosa abbiamo fatto, allora? Se un proiettore descrivesse in maniera lineare questo fenomeno, il suo comportamento ideale sarebbe una retta, cioè invariante rispetto al livello di illuminazione. Se allora normalizzo il rapporto che mi descrive in modo semplice la relazione tra l’ingresso, opportunamente trattato attraverso l’elevamento ad un esponente, e lo confronto con il livello di uscita, capisco quanto il mio proiettore agisce in modo lineare sulla quantità di luce che lo investe. Noi abbiamo agito così: abbiamo considerato un gamma di riferimento pari a 2.5 (dopo avere valutato molti valori e visto molte documentazioni in merito), lo abbiamo rapportato con una semplice relazione di uscita/ingresso normalizzato, e quindi parametrato il tutto al valore intermedio della gamma dinamica (5%), per avere una scala costante rispetto a tale valore. Dove sia questo punto non ha importanza, ciò che conta è che questa funzione di trasferimento dovrebbe essere, come abbiamo detto, una retta; se possibile posizionata sul valore unitario, altrimenti è sufficiente che abbia un andamento, pur se traslato in basso, il più orizzontale possibile. Per motivi di affidabilità, legati ai bassissimi livelli di intensità luminosa associati alla parte inferiore della gamma dinamica, partiamo da un livello di intensità relativamente elevato (seppur corrispondente appena al 5% del massimo) pari al 30% di bianco. Stiamo comunque attrezzandoci per eseguire correttamente test almeno fino al 10%.

Modalità di effettuazione delle misure

Alcune specifiche sulle modalità di effettuazione delle misure credo vi possano dare un’evidenza di come queste siano effettuate concretamente, per farvele sentire più “vissute” anche da voi.
Bene, la prima considerazione da fare è sul tempo di riscaldamento delle macchine, che è stato posto a circa 20’ per i tritubo e 10’ per le altre tecnologie. È noto che sia indispensabile lasciare entrare in temperatura i dispositivi di proiezione, e questo, se è incredibilmente vero per i tritubo (provate a fare una taratura a freddo e poi vedete se, una volta a regime termico, i valori sono gli stessi), lo è anche per LCD e DLP. In misura inferiore, ovviamente, ma nitida: ho osservato che le prestazioni del Davis miglioravano addirittura dopo un’ora dall’accensione!
Un altro aspetto, che forse potrà sembrare banale, ma non lo è affatto: la posizione dei controlli nei videoproiettori sul livello di default, o, come nel caso del Barco, sui valori consigliati, per non polarizzare la misura del livello di luminosità. Dato che la scelta opposta vedrebbe una accurata taratura del sistema sotto misura per poi procedere alle misure, vi dico che non lo facciamo, per un semplice motivo: i singoli costruttori, se propongono una posizione di default che dovrebbe essere quella in cui il loro prodotto dà il meglio di sé, ritengono evidentemente che sia opportuno mantenere quei livelli per la maggioranza degli utenti e delle situazioni. Quindi noi ci limitiamo a prenderne atto, e solo dopo aver misurato il videoproiettore, passiamo a regolarlo al meglio secondo le metodologie che vi ho più volte descritto.
È da notare come questo si rifletta in una situazione reale che vede dei valori di luminosità effettivi più bassi per DLP e LCD, che generalmente vengono poi tarati, sul campo, su valori di brightness e contrast inferiori alla posizione di default. Ma non credo, e spero, che questo rappresenti per voi un problema insormontabile: non si acquista un sistema del genere con il solo scopo di illuminare a giorno il vostro salotto!

Un pattern con scala dei grigi.

Un pattern con scala dei grigi.

A proposito di condizioni di illuminazione: non vorrei essere offensivo a dirlo, ma è ovvio che ogni misura viene fatta nel buio assoluto. Qualunque forma di luminosità spuria, proveniente da fonti esterne, potrebbe alterare i valori che andiamo a leggere. Tanto per fare un esempio, lo schermo del portatile dove è collegato il Sencore è girato in verso opposto al telo di proiezione, e la luminosità del visore di servizio del generatore video è schermata da oggetti che la rendono del tutto trascurabile. Una nota di impiego concreto, che credo sia davvero utile fornirvi, rappresenta le condizioni nelle quali il proiettore è messo in funzione e misurato. Qualora sia disponibile, un CRT è provato con il suo duplicatore e/o quadruplicatore, per omogeneità con l’immagine in scanning progressivo generata sia da DLP che da LCD; a seconda se si tratti di unità con tubi da 7” o da 8”, si sceglie il 2x od il 4x (perché in linea di massima il duplicatore viene sfruttato appieno da una tecnologia con i CRT più piccoli, che invece possono essere sottodimensionati per spremere tutto da un quadruplicatore). Anche perché, va detto, se avete a disposizione il gruzzoletto necessario per acquistare oggetti del genere, difficilmente resisterete alla tentazione, del tutto lecita, di evitare di vedere, come concisamente lo ha definito mia moglie, un “quaderno a righe” invece di un videoproiettore: e metterete a budget l’acquisto almeno di un duplicatore.
Per quanto riguarda la dimensione ed il formato dell’immagine test, abbiamo già detto che abbiamo scelto pattern di test in 16:9. Dato che il generatore lo consente, i risultati che si ottengono sono superiori in termini di linee pure e semplici, e quindi di maggiore luminosità; ma in ogni caso è la condizione reale nella quale le nostre macchine si troveranno a lavorare, e quindi tanto vale rispettarla. Per ciò che è relativo alle dimensioni del riquadro di proiezione, si tratta, in linea di massima, di 120” in 4:3, ovvero di un’immagine che misura 244 cm di base e 137 di altezza per il 16:9. Non è piccola, tant’è che si può verificare (come è accaduto per l’Epson) che la distanza massima alla quale sia possibile sistemarlo non consenta di raggiungere quelle dimensioni. Per tenere conto allora della maggiore superficie, viene di volta in volta misurata l’area sulla quale vengono in effetti proiettati i pattern di test, e su questa applicato l’opportuno fattore di correzione.

Misure di livello di rumorosità con il fonometro

Avendo a disposizione un fonometro per la taratura del Dolby Digital, mi è sembrato utile fornire una caratterizzazione del livello di rumorosità che queste macchine raggiungono, dato che l’impatto ambientale passa anche per queste condizioni. Non si tratta di misure in senso stretto, perché manca il rispetto di tutte le condizioni al contorno necessarie per dare un valore di riferimento, ma solo di una rilevazione in condizioni operative per dare una stima di massima.  Il fonometro viene posto a 25 cm di distanza da una ventola del proiettore, il fondo scala è regolato sul minimo che lo strumento consente (50 dB), nella stanza viene silenziata qualunque forma di rumore esterno (questo implica fare questa rilevazione a tarda notte!) e lo strumento viene tenuto in posizione per circa dieci secondi, per fare stabilizzare il tutto. Un’indicazione, ripeto, però credo che possa essere utile per caratterizzare i diversi comportamenti acustici delle macchine in esame.

A questo punto, non rimane che lanciarsi nella lettura!

di Andrea Manuti

da Digital Video n. 11 marzo 2000

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