Pur essendo un analogista convinto, come testimoniamo i miei lavori sui giradischi Denon DP-80 e Micro-Seiki DDX100 pubblicati su AUDIOreview, ciò che vado ad illustrare fa parte del “lato oscuro” di ogni analogista convinto, e cioè quell’attrazione irresistibile per la musica in digitale e le sue sempre più bizzarre alchimie, che consentono di trasformare asettiche sequenze di 0 e 1 in flussi sonori eufonici alle nostre orecchie di audiofili.
Ora, è forse azzardato affermare che questo lato oscuro richieda il presidio di temibili audiofili Jedi pronti a salvaguardare il mondo analogico dall’invasione dei cloni (visti come infinite copie tutte uguali dello stesso brano), ma c’è da dire che nel corso degli ultimi decenni la musica digitale ha fatto molta strada in termini qualitativi, guadagnandosi la considerazione ed il rispetto di molti analogisti, e passando dalle pennette USB piene di MP3 ai music server dotati di DAC e all’altezza dei più blasonati impianti.
Io non sono di quelli che dicono che i CD una volta erano inascoltabili ed oggi non è più così, oggi come allora ci sono in giro dischetti inascoltabili (e chi conosce la cosiddetta “loudness war” sa di cosa parlo), ma sono convinto che il progresso tecnologico ha permesso ai professionisti e ai semplici appassionati di campionare, conservare e trattare la musica con una qualità ed una flessibilità insospettabili già solo pochi anni prima. Pensiamo ai tempi del Commodore 64 e dei suoi floppy disk da 160 Kbyte, i 700 Mbyte di un CD sembravano una frontiera insormontabile, e solo pochi anni fa, maneggiando un CD, pensavamo “chissà, forse un giorno tutta la musica che c’è qui sopra sarà contenuta in un microscopico chip, senza più parti in movimento”. Quel giorno è arrivato, e la tecnologia con dei veri passi da gigante ha permesso di passare in pochi anni dagli MP3 ai formati ad alta risoluzione, capaci di raggiungere e superare la qualità offerta dagli spesso disprezzati (ma per me sempre validi) Compact Disc.
Addirittura si è cominciato ad utilizzare le tecniche digitali, e a mio avviso con ottimi risultati, per “ripulire” i vecchi master e ristampare nuovamente i nostri vecchi e cari LP ad uso di tutti i nuovi appassionati del vinile, anche se mettere su vinile un master analogico digitalizzato avrà fatto inorridire gli oltranzisti dell’analogico, e avrà aperto il fronte a discussioni di carattere filosofico-musicale degne di un saggio di Theodor Adorno.
Tutto ciò per dire che ormai la tecnologia digitale merita rispetto e considerazione anche da parte dei più acerrimi nemici delle chiavette USB e dei dischetti argentati, e che apparati in grado di immagazzinare e gestire la nostra musica sotto forma di bit possono essere accolti a buon diritto e con soddisfazione nel parco macchine di ogni audiofilo.
Il mercato non ha infatti tardato a rendere disponibili apparecchi e programmi software capaci di soddisfare le esigenze di ogni audiofilo deciso a passare al lato oscuro.
Per quanto mi riguarda, il grande passo l’ho compiuto alcuni anni orsono, dopo aver verificato quanto gradevole e coinvolgente poteva essere la visione di un film, di un concerto o di un’opera con un grande schermo ed un impianto multicanale adeguato.
Così per qualche anno il cuore del mio impianto è stato un Audio/Video Receiver (AVR) capace di gestire un impianto a 7.1 canali, per la cronaca l’Onkyo TX-NR5010, che è stato anche oggetto di una bella prova con il resto dell’impianto eseguita nella mia sala ascolto nel corso di un piacevolissimo sabato pomeriggio con il Direttore di AUDIOreview, e pubblicata poi sulla rivista nell’ambito de “Il mio Auditorium”.
Non poteva quindi mancare tra le sorgenti di programma musicale quello che è il soggetto di questo articolo, e cioè quell’apparecchio che oggi si chiama HTPC (Home Theater PC), ovvero un computer (non necessariamente un PC, nonostante l’acronimo che lo identifica) convertito a immagazzinare e gestire i vari contenuti digitali audio e video, nei vari formati oggi disponibili. Ad onor del vero devo dire che la mia passione per l’analogico ha fatto sì che nel corso degli anni si affiancasse alla catena multicanale una vera e propria catena analogica, composta dal preamplificatore Audio Research SP-9 che gestisce tutta una serie di apparati “vintage”, tra cui il Nakamichi 1000 per l’ascolto delle cassette, il Technics 1506 che permette di ascoltare nastri a 2 e 4 tracce, un buon vecchio sintonizzatore Sansui TU-717 con la sua bella scala analogica, e i giradischi Garrard 301, Denon DP-80, Micro DDX-1000 e Thorens TD125 con vari bracci e testine di cui ho già raccontato in recenti articoli. Successivamente ho completato la catena analogica con due finali monoblocco single-ended in classe A utilizzanti la meravigliosa 845, di cui forse avrete letto sul n. 398 della rivista. Sto ancora studiando come gestire in modo appropriato il cambio delle connessioni tra gli amplificatori e i diffusori B&W 800D passando dalla configurazione a due canali a quella multicanale, per non perdere ogni volta molto tempo ed evitare il rischio di sbagliare e fare danni alle apparecchiature, ma questa è un’altra storia.
Dico questo perché la crescita della catena analogica ha avuto effetti anche su quella digitale, il perché sarà chiaro più avanti nel corso dell’articolo. E veniamo quindi ad alcune specifiche che hanno fatto da base al progetto dell’HTPC in oggetto, per lo meno la prima versione.
- Le dimensioni contano? Sì. Perché i box per HTPC in vendita sono solitamente di aspetto aggraziato ma di dimensioni tendenzialmente piccole o addirittura lillipuziane. E ciò ovviamente per essere ammessi nelle sale e saloni dei signori audiofili, al cospetto delle loro signore. Questo però introduce alcune severe limitazioni sulla capacità dei suddetti box di accogliere oggetti ingombranti come alimentatori, ventole, hard disk, che potrebbero rivelarsi importanti per rispettare le specifiche del progetto in questione. Perciò, nessuna limitazione a priori sulle dimensioni.
- Niente NAS o hard disk esterni. Dopo anni di convivenza con un HDD storage box collegato all’HTPC precedente con una scheda PCIe, e di infelici esperimenti, anche a livello sonoro, con i collegamenti sulla rete dati casalinga, voglio provare un HTPC con tutti gli hard disk al suo interno, anche quelli per i back-up.
- Collegamenti: tralasciando certe credenze esoteriche sul suono di cavi USB o RJ dorati, i collegamenti con gli hard disk sono da realizzarsi tramite interfaccia SATA, che garantisce il massimo della velocità ed il minimo della latenza, e con cavo HDMI per quanto riguarda il collegamento dell’HTPC con l’AVR. Ciò nasce dalla mia convinzione, a fronte di un esame delle specifiche del protocollo HDMI, e delle relative potenzialità, che questa sia la modalità tra le migliori, se non la migliore, in termini di affidabilità e flessibilità, tra quelle attualmente disponibili, per collegare una sorgente digitale a un AVR, e l’unica quando la sorgente è digitale multicanale.
- Massima connettività per quanto riguarda il trasferimento dati: porte USB 2 e 3, masterizzatore CD, DVD e BD, e docking station per permettere il collegamento temporaneo di altri hard disk.
- Potenza di calcolo a livello di CPU e GPU adeguate a gestire senza problemi ed affanni i contenuti più aggiornati e i relativi SW di gestione, permettendo anche qualche elaborazione “pesante” (es. ripping di dischi ottici) senza particolari problemi.
Questo quanto avevo ipotizzato un paio di anni fa a livello di specifiche principali per un nuovo HTPC. In realtà io un HTPC già lo avevo, infatti le suddette specifiche derivavano proprio dall’esperienza fatta con quella macchina, e dai conseguenti punti di miglioramento individuati.
La disponibilità di un precedente HTPC mi aveva quindi permesso di verificare e confermare alcune specifiche di progetto preesistenti, e riutilizzare anche dei componenti già disponibili.
Per quanto riguarda la potenza di calcolo, sia a livello di CPU, che a livello di GPU, i requisiti di un HTPC non sono così stringenti, almeno per quanto riguarda le risoluzioni fino al Full HD (1.920x 1.080), tanto meno lo sono per quanto riguarda la gestione dei contenuti musicali. Non dovendo quindi montare processori e schede video particolarmente potenti ed ingombranti, la scelta era caduta su una scheda madre della categoria Mini ITX, e processore AMD con GPU integrata.
Segue quindi l’elenco dei principali componenti HW scelti per la configurazione iniziale, ma ancora utilizzati con profitto in quella attuale.
Ai suoi tempi il buon Massimo Catalano avrebbe detto che con una scelta attenta di componenti di qualità e livello adeguati, si ottengono buone prestazioni, affidabilità e durata nel tempo, e cosi infatti è stato:
- scheda Madre Asrock Mini ITX FM2A75M-ITX (visibile in Fig. 1);
- processore AMD A10 5800k FM2, Quad core a 3,8 GHz con modalità “Turbo” a 4,2 GHz;
- memorie Patriot Master Viper 3 Series 2 x 4 GB DDR3-2133 PC3-17000 CL11 (PVI38G213C1K);
- disco SSD Samsung MZ-7TD120BW, capacità 120 GB;
- alimentatore OCZ OCZ500MXSP ModXStream Pro (500 watt);
- unità DVD e BR RW Samsung MZ-7TD120BW.
Giusto per dare un’idea del cambiamento più significativo scatenato dalla revisione delle specifiche di progetto, nella Figura 2 si può vedere quello che era il contenitore dell’HTPC all’inizio del progetto (gennaio 2013), il Bit Fenix Prodigy Case Mini ITX nella variante nera.
Costruito molto bene, esteticamente gradevole, ma pur sempre con qualche limitazione rispetto alle nuove specifiche di progetto, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione di numerosi hard disk.
A questo proposito, invito ogni audiofilo che magari ha passato ore, giorni, settimane del proprio prezioso tempo a rippare i propri CD su hard disk, o speso buona parte del proprio budget nel download a pagamento di file audio ad alta risoluzione, sottraendo tempo e risorse agli ascolti, a considerare con la massima attenzione il problema del back-up dei propri file.
È un problema assolutamente non banale, soprattutto quando si posseggono discrete collezioni di file audio magari sparpagliati su più hard disk, e per fortuna esistono degli ottimi programmi (anche gratuiti) che permettono di ottimizzare ed organizzare periodicamente il back-up. L’unico aspetto vincolante, soprattutto quando si desidera fare la copia integrale di un hard disk, è che il numero dei dischi da impiegare raddoppia, con conseguenti impatti di costo, spazio ed energia.
La copia però consente di evitare brutte sorprese, che sono comunque improbabili vista l’affidabilità in termini di MTBF e/o AFR (Mean Time Between Failures e Annualized Failure Rate, sono i due parametri più utilizzati dai costruttori per definire l’affidabilità dei propri hard disk, solitamente rispettivamente tra le 300.000 e 1.200.000 ore e tra i 30 e 120 anni) dei moderni dischi rigidi, ma assolutamente drammatiche quando all’improvviso poi si realizza che l’integrale Columbia di Miles Davis o l’integrale Philips di Alfred Brendel che si sono faticosamente riversate su disco sono andate perse per sempre. Per questi motivi una delle specifiche del nuovo progetto è stata quella di disporre di spazio adeguato nel case per un certo numero di dischi “master”, e un corrispondente numero di dischi “slave”, i quali si affiancheranno man mano a quelli principali (master), ovviamente il tutto alimentato da un adeguato alimentatore.
Alla fine, la mia scelta è caduta su un case per server prodotto da una ditta specializzata tedesca, la Yakkaroo (trovate tutti i loro prodotti in vendita sul loro sito http://shop.yakkaroo.de, ma alcuni anche nei maggiori E-Shop su web). Il fabbricante propone case da server con altezze variabili tra 1 U e 5 U (una U è pari a 4,445 cm ed è l’unità di misura in altezza degli apparecchi professionali montati su rack da 19”), profondità variabili e larghezza ovviamente 19 pollici, e sono configurabili con alimentatori pre-installati, o disponibili anche con scheda madre e processore. I prezzi sono ragionevoli, come pure la disponibilità a spedire anche in Italia e i relativi costi. Nel mio caso la scelta è caduta sul modello IPC-G438 da 4 U e 38 cm di profondità, visibile nella Figura 3.
Chiaramente il suo aspetto poco si sposa con il tipico arredamento di una sala prediletto dalle consorti degli audiofili, diciamo però che inserito in un contesto tecnologico adatto può avere comunque un suo perché, magari in un angolino o una stanzetta dedicati. La scelta di una altezza importante era obbligata per ottenere la conformità al requisito di farci stare un certo numero di HDD. Un’unità da 1 U avrebbe dato al tutto un aspetto più filante, dinamico e meno ingombrante, ma nel mio caso una unità 4 U non sfigura affatto, ed è facilitata nel camuffare le sue dimensioni essendo inserita in un piccolo rack da 12 U, a fianco del preampli Audio Research (anche lui con le maniglie nere) e dell’unità di riduzione del rumore impulsivo Burwen TNE 7000A, anch’essa unità rack dalla livrea nera, un piccolo gioiello marcato Richard S. Burwen. Un apparecchio, il Burwen, meno famoso dell’analogo SAE 5000, ma secondo lo scrivente ed alcuni appassionati ancora più discreto ed efficace nel rimuovere in modo totalmente analogico i tic e i toc durante l’ascolto dei nostri amati LP (NB: confermo quanto scrivevo altrove, basta col chiamare gli LP “vinili”, sarebbe come dover chiamare i CD “policarbonati”).
Per la cronaca, Richard S. Burwen rimane uno dei maggiori progettisti audio di tutta la storia della riproduzione fedele del suono, basta leggere la sua biografia al seguente indirizzo www.burwenaudio.com/Biography.html per rendersene conto. Un nome, il suo, al pari livello di nomi come Frank McIntosh, Saul Marantz, Hermon Hosmer Scott e Avery Fisher (marchio quest’ultimo al quale sono particolarmente affezionato, essendo stato l’integrato valvolare Fisher X100-C di papà il mio primo contatto con il mondo dell’hi-fi negli ormai lontani anni ’60), per citare solo i colleghi americani.
Sia chiaro, non intendo certo con questo dimenticare o sminuire personaggi come Andy Rappaport, Mark Levinson o Dan D’Agostino, che però appartengono ad un’altra generazione.
Per tornare al nostro case, la Figura 4 mostra il suo interno e rende l’idea dello spazio a disposizione per la scheda madre, l’alimentatore, le ventole, ma soprattutto tanti hard disk. Come si può notare, sulla destra il contenitore offre due telai che da specifica portano fino a 4+4 HD (in realtà ce ne stanno 5+5 senza problemi), il che vuol dire che, volendo (e potendo, visti i costi ancora alti) utilizzare hard disk da 8 o 10 TB, si ha a disposizione un potenziale di archiviazione di 80/100 TB senza back-up, o 40/50 + 40/50 TB con back-up, tutti nell’HTPC, senza cavi, altre unità esterne o nevrosi dovute a problemi con la rete domestica (più frequenti di quanto si pensi). Non male.
I lettori più attenti obietteranno a questo punto: “La scheda madre che hai usato ha solo 4 porte SATA, e una delle specifiche di progetto è quella di collegare tutti gli hard disk direttamente con collegamenti SATA, come è stato possibile ciò?”. Ebbene, questi lettori hanno ovviamente ragione, ed il collegamento previsto è stato possibile grazie ad una opportuna scheda di controllo PCI-Express che permette il collegamento di fino ad 8 dispositivi SATA. La scheda in oggetto è basata sul chipset Marvell 88SE9705, e una delle versioni commercializzate è quella offerta da Kalea-Informatique (Fig. 5).
La scheda dispone di 8 porte SATA 3 (compatibile all’indietro con SATA 1 e 2), con massima velocità di trasferimento pari a 600 Mb/s. Non consente configurazioni di tipo RAID, che personalmente ritengo superflue per questo tipo di applicazione, viste anche le dimensioni dei dischi oggi disponibili, perché aumentano le difficoltà di gestione e con benefici – come il back-up – peraltro ottenibili anche senza RAID.
Nella parte sinistra del case, è possibile installare fino ad altri tre hard disk in cassetti da 3,5”, o altre periferiche. Nel mio caso ho usato questo spazio per installare il SSD con il sistema operativo (Windows 10), il masterizzatore BD/DVD/CD e la docking station. Un’interessante periferica quest’ultima, la docking station multipla della Sharkoon (Fig. 6), una docking station che rientra in uno slot standard da 5,25” e permette di collegare in modo temporaneo o permanente HDD e SDD, da 2,5” o 3,5”, e chiavette USB.
Interessante accessorio che moltiplica la flessibilità di connessione dell’HTPC (pensate solo alla comodità nel travasare qualche centinaio di GB residenti nell’HD di un altro PC senza dover passare dall’USB).
Il case consente il controllo di 4 ventole, la cui temperatura di intervento è impostabile singolarmente. Per quanto riguarda questo importante aspetto, e cioè il controllo della temperatura di esercizio, posso dire che il sistema ha passato senza problemi il severo collaudo del funzionamento a pieno carico durante due estati romane. Nella parte posteriore del case trovano spazio, da sinistra a destra, l’alimentatore (standard ATX), la scheda madre ed eventuali schede grafiche o di espansione. Nel mio caso lo slot PCI disponibile sulla scheda madre è stato destinato alla scheda di controllo ad 8 porte SATA sopra descritta.
Nella Figura 7 si vedono tutti i componenti sopra elencati installati nel case insieme agli HD e relative ventole e cavi; mentre all’inizio dell’articolo è mostrato il frontale della macchina.
Dopo aver dedicato sufficiente spazio, con opportuni dettagli, alla parte hardware del progetto, veniamo quindi ad una opportuna descrizione di quella software, e prima di tutto le relative specifiche:
- sistema operativo stabile ed aggiornato, che permetta l’installazione di programmi dedicati e di driver a bassa latenza per il collegamento delle apparecchiature audio;
- SW a corredo che permetta una adeguata ed agevole gestione dei contenuti, ed una precisa ed opportuna gestione del sistema (controllo e configurazione dell’HW, controllo e configurazione dei back-up, controllo delle latenze, gestione delle librerie e del file tagging, e quant’altro).
Ho quindi escluso a priori sistemi embedded o headless, e porting di Linux super-dedicati, in quanto, seppur noti per la loro semplicità, quindi bassa latenza e quindi buon suono, non sono a mio avviso sufficientemente flessibili per accogliere anche tutto il SW a corredo previsto.
Una distro Linux che negli anni ho sempre apprezzato e sperimentato con ottimi risultati, affiancandola talvolta a Windows in configurazione dual-boot, è stata Ubuntu Studio, che ho apprezzato per la sua bassa latenza dovuta ad un Kernel appositamente dedicato, e per il bel set di programmi assolutamente gratuiti a corredo per la produzione, l’editing e la riproduzione audio e video. Windows 10 rimane però comunque a mio avviso il sistema operativo più indicato per applicazioni HTPC, soprattutto per il fatto che Linux non supporta agevolmente la gestione dei dischi Blu-ray. Per quanto riguarda i Music Players audiofili di nostro interesse, i due programmi principe sono stati fino ad ora Foobar 2000 e JRiver, ai quali si sta affiancando con successo Roon.
Uso sia Foobar 2000 che JRiver, e li ritengo tutti e due molto validi, anche se i motivi per preferire uno all’altro sono diversi (tralascio il fatto che uno è gratuito e l’altro no).
Devo anche dire che condivido in linea di massima i giudizi e i pareri che si leggono in rete sui due programmi, anche per quanto riguarda il loro modo di suonare. Eh, sì, perché le differenze sul suono dei due programmi ci sono, e si sentono. Ora, qualcuno dei lettori obietterà: “come possono due sequenze di bit identiche, suonare in modo diverso?”. Possono, perché, pur essendo identiche all’origine, vengono elaborate in modo diverso. Senza entrare nel dettaglio delle possibilità operative e delle configurazioni ed elaborazioni offerte dai due programmi, il suono offerto da Foobar 2000 è a mio avviso più incisivo, più scolpito, insomma più digitale.
Il suono offerto da JRiver, soprattutto nella configurazione multicanale raccomandata, è più morbido, più avvolgente, insomma più analogico. Personalmente dal punto di vista del suono preferisco JRiver, e la sua superiore capacità di gestire copertine, contenuti e librerie.
Foobar 2000 è più semplice da usare e da configurare (ma fino ad un certo punto), è più flessibile nella lettura dei vari formati, ISO comprese, ed è anche più facile “giocarci”, cambiando velocemente i vari parametri per vedere l’effetto che fa. Foobar 2000 ha una gestione più intuitiva e comoda delle librerie musicale sui vostri hard disk, ma anche JRiver, utilizzando la navigazione in modalità “Explorer”, può semplificarci la vita. Tutti e due dispongono, come i lettori di AUDIOreview ben sanno, di una miriade di plug-in e di skin per personalizzare l’uso e l’aspetto del programma a proprio piacimento.
Tutti e due sono anche telecomandabili, ma anche in questo caso JRiver secondo me è superiore, o almeno è più divertente usarlo per girovagare con un tablet nella propria libreria musicale tra titoli singoli, raccolte e relative copertine, un po’ (ma alla lontana…) come si faceva con i dischi, quando c’erano ancora i negozi di dischi. Non ho esperienza di un altro outsider della categoria dei SW media player come Roon, ma qui entriamo nel campo dei veri e propri SW di gestione di librerie, contenuti multimediali ed informazioni connesse disponibili in rete, dal costo non banale. Completano la dotazione di programmi dell’HTPC i classici tuttofare da utilizzare per le emergenze audio-video come VLC e MPC-HC, quest’ultimo meno conosciuto di VLC, ma anche lui assolutamente gratuito ed impressionante per quanto riguarda le impostazioni possibili a livello di riproduzione video.
Infine, Power DVD, che, giunto alla release 17, rimane secondo me una delle migliori scelte per quanto riguarda la gestione di librerie video e non solo, e per la riproduzione di contenuti video che altri player non gestiscono, come Blu-ray e video 3D.
Altri programmi che ritengo utili, soprattutto in un HTPC, sono i seguenti (tutti gratuiti):
- MS SyncToy 2.1: programma per il back-up che, attraverso un’interfaccia molto semplice, può creare copie identiche di file e cartelle su più dispositivi, sincronizzare qualsiasi tipo di file fra due computer o dispositivi (hard disk esterni, chiavette USB etc.), ed anche essere usato per operazioni giornaliere di backup dei file;
- CPU-Z: permette di tenere sotto controllo la configurazione HW del sistema;
- Core Temp: permette di tenere sotto controllo le temperature dei core della CPU ed altri parametri;
- MiniTool Partition Wizard Free Edition: consente di formattare, partizionare, gestire le partizioni e fare tanto altro sui vostri preziosi hard disk. A mio avviso molto più comodo da usare del programma standard in dotazione a Windows;
- DPC Latency Checker: consente di analizzare le latenze nel vostro HTPC, e quindi determinare se il vostro HTPC è in grado di gestire correttamente flussi di dati in real-time.
Per quanto riguarda questo ultimo punto, la latenza, diciamo che è un aspetto delicato ed importante nella configurazione dell’intero sistema. La latenza in un sistema non è altro che l’intervallo di tempo che passa tra la presentazione di un dato all’ingresso del sistema, e la sua disponibilità all’uscita del sistema.
È un parametro molto importante ai fini delle prestazioni sonore dell’intero sistema.
Nell’ambito di Windows esistono driver in grado di ottimizzare le prestazioni in termini di latenza, come i driver ASIO (Audio Stream Input Output) sviluppati da Steinberg per la gestione di flussi audio contemporanei in input ed output, e su più canali, e i WASAPI (Windows Audio Session API), che consentono di usare un dato device in modalità esclusiva a favore dell’applicazione audio. In realtà l’ottimizzazione del PC per l’applicazione audio non si ferma all’utilizzo dei driver ASIO o WASAPI, ma bisogna operare anche sulla configurazione del programma utilizzato per la riproduzione dei file (Foobar 2000 in questo senso è un ottimo esempio di flessibilità), e cercare di ridurre al minimo i programmi e processi che girano anche in modalità background sulla macchina. Ci sono addirittura programmi, come Fidelizer, che permettono di automatizzare sia la prima che la seconda cosa, su più livelli selezionabili dall’utente.
Esistono entusiastiche recensioni in rete di questo programma, ma a mio avviso va usato comunque con precauzione e cognizione di causa.
Non mi rimane che dedicare qualche parola alla collocazione dell’HTPC nel mio impianto.
Per quanto riguarda le connessioni, l’HTPC è connesso alla rete domestica tramite normale cavo RJ, e si può connettere alla rete WIFI tramite uno di quei semplici adattatori USB.
Questo gli dà la capacità, tramite i servizi di condivisione dispositivi in rete e DLNA (la famosa Digital Living Network Alliance, collaborazione internazionale fra industrie di computer e compagnie di apparati mobili, nata con l’obiettivo di sviluppare uno standard comune per la comunicazione su rete locale di molteplici dispositivi audio e video), di fungere da server per la condivisione su rete domestica di contenuti audio/video (ovviamente lasciandolo sempre acceso). L’HTPC è connesso all’ingresso PC dell’AVR Onkyo TX-NR5010 tramite cavo HDMI (ma il ricevitore lo individua in rete anche come dispositivo DLNA), è dotato per comodità di tastiera e mouse wireless, ed è telecomandabile tramite tablet nel caso di JRiver e con un piccolo telecomando nel caso di Foobar 2000, e per il controllo di varie funzioni del sistema operativo, incluso lo spegnimento della macchina.
Devo dire che avere a disposizione la potenza e la flessibilità di un sistema operativo come Windows 10 rende a mio avviso più facile l’utilizzo quotidiano della macchina, ma anche la possibilità di risolvere improvvise “emergenze”, ad esempio installare un programma non previsto, scrivere una email o navigare su web.
E il suono?
Ebbene, qui ovviamente i file sorgente fanno la parte del leone, nel senso che se il file non è di buona qualità, anche la riproduzione sarà compromessa. È però possibile qualche altra considerazione, che riassume anche qualche concetto già espresso: i file digitali suonano in modo diverso fra loro, e uno stesso file può suonare in modo diverso se riprodotto da programmi diversi. L’ottimizzazione dell’HTPC in termini di latenza è fondamentale, i risultati sono chiaramente percepibili. I moderni formati digitali suonano sempre meglio. Un formato digitale in alta risoluzione può approssimare la sensazione d’ascolto tipica di un LP, tant’è che oramai si stampano LP usando (re)mastering digitali. Confrontando il suono di uno stesso titolo in LP, CD, SACD e file audio HR, il risultato più frequente è che l’LP suona meglio, ma spesso segue ad esempio il formato Hi-Res, che se la gioca quasi alla pari con il SACD. Ho addirittura confrontato la mia preziosa stampa 1s/1s de “I pini e le fontane di Roma” di Respighi (Fritz Reiner con la Chicago Symphony Orchestra, RCA Living Stereo LSC-2436) con il corrispondente file in DSD a 2,8 MHz, e ovviamente nessun file digitale può sperare anche di approssimare la magia e l’energia sonora che quel disco nero è in grado di trasmettere, ma sicuramente si può affermare che in molti parametri si aggiudica il secondo posto, anche rispetto al SACD. Un HTPC permette comunque ad ogni appassionato di fare una copia di tutte le sue preziose e rare incisioni, come una volta si faceva con le cassette e gli LP, ma consente anche di fare tanti divertenti esperimenti. Un HTPC permette addirittura ad un appassionato “radicale” di fare piazza pulita di ogni supporto fisico (nel senso di dischi e nastri), e raccogliere tutte le sue collezioni di musica, film e foto in una singola macchina, con la quale gestire ed arricchire le suddette collezioni, e alla quale potersi collegare in casa (ma anche fuori casa, volendo) per gustarsi la sua musica in ogni dove. L’utilizzo nel corso del tempo trascorso dalla messa in opera della macchina ha confermato la bontà dei requisiti di specifica.
Due fattori mi hanno peraltro indotto a qualche riconsiderazione del progetto:
- le ventole ci sono, e soprattutto nei mesi più caldi dell’anno si fanno sentire, soprattutto quando a suonare non è l’ultima ristampa di un album dei Led Zeppelin;
- le dimensioni contano, ma con il sopraggiungere del tavolino con il giradischi Micro Seiki DDX1000 con tre bracci, e dei nuovi ampli monoblocco con le 845, una rivisitazione del layout dell’impianto nella sala di ascolto si renderà necessaria, soprattutto se al tutto si aggiungeranno, come ho in mente, un DAC e un finale per le vie basse delle B&W.
Il rumore di fondo e lo spazio, quindi, due problemi spinosi molto noti agli audiofili.
Che fare, allora?
È molto semplice, si prende in mano carta e penna, o, meglio, mouse e tastiera, e si rivedono le specifiche di progetto, mettendosi poi a cercare in lungo e in largo per il web il nuovo HW per regalare al nostro un fratellino. Le nuove specifiche identificate sono le seguenti:
- dimensioni mini, ma non micro o nano, l’apparecchio deve avere una sua dignità fisica e avere il posto per almeno un’unità ottica;
- alimentazione integrata nel case;
- scheda madre mini ITX che supporti un processore con GPU integrata senza bisogno di ventole o quasi;
- sistema operativo leggero che non sovraccarichi il processore.
È chiaro che in questo caso avremo una bella non conformità ad uno dei requisiti principali della prima versione, e cioè gli hard disk contenuti all’interno del case.
Vedremo come si mettono le cose.
Fatto sta che, dopo una bella ricerca, individuo i seguenti due oggetti:
- case Antec ISK300-150 (Fig. 8): in soli 22,2 x 32,8 x 9,6 cm accoglie una scheda madre mini ITX, un’unità ottica slim, un disco da 2,5” e un alimentatore da 150 W. Il tutto al modico prezzo di poco meno di 35 euro (NB: il prodotto è ricondizionato anche se perfettamente integro, nuovo di zecca ne costerebbe 85 di euro…);
- scheda madre Asrock QC5000M-ITX/PH (Fig. 9): a poco meno di 70 euro, la scheda offre, in formato mini ITX, un processore AMD A4-5050, che è un quad-core funzionante a 1,5 MHz con GPU Radeon HD8330, e possibilità di montare memorie RAM DDR3 1.600 fino a 16 GB. Non mancano diverse porte USB 2.0 e 3.1, due porte SATA e la necessaria HDMI.
Un disco SSD da 2,5”e 60 GB di capacità, una stecca di RAM RIPJAWS da 4 GB, e un’unità ottica slim LG le ho già in casa, per cui si può dire che con una cifra intorno agli 85 euro il fratellino minore sarà pronto. Oltretutto, nel case e sulla motherboard c’è posto anche per una schedina PCIe, per cui potrò utilizzare l’Edgestore DAS801-t, un’unità storage con la capacità di ben 8 HDD, di cui vi ho già parlato, dove prima tenevo gli hard disk che ora sono nell’HTPC. In questa unità metterò i dischi che mi sono avanzati, e insieme al mini HTPC potrei usarla, fatte le dovute considerazioni e i dovuti esperimenti, come secondo HTPC in un’altra stanza, utilizzandola nel contempo come unità di back-up dell’HTPC principale, dove i dischi non sono ancora ridondanti (e, ribadisco, ciò è più grave di quanto non si pensi).
Come sistema operativo potrei questa volta rivolgermi nuovamente al mondo Linux, e, perché no, ancora una volta alla bella distribuzione Ubuntu Studio a bassa latenza, considerando che la dotazione del piccolino in termini di CPU e RAM non è estrema, anche se ho letto ottime recensioni nel suo utilizzo proprio come HTPC per la riproduzione di video Full HD (e si consideri che la GPU va anche oltre, è dichiarata 4K x 2K (4.096×2.160) @ 24 Hz o 4K x 2K (3.840×2.160) @ 30 Hz).
È interessante notare che la scheda offre uscite audio HD a 7.1 canali e monta condensatori ELNA audio, ciò per chi volesse usare le uscite analogiche invece della HDMI.
Il mini HTPC non monta un lettore di Blu-ray come il fratello maggiore, ma so che non ne sentirò la mancanza. Come ho già detto, non sono un amante dei cosiddetti sistemi HTPC embedded o headless (cioè quelli pilotabili solo da remoto, non con monitor tastiera e mouse come i normali PC), e delle distribuzioni Linux iper-dedicate alle applicazioni audio, semplicissime per quanto riguarda il loro building, ma che necessitano di un ingegnere informatico per l’installazione. Le mie prove in merito mi hanno dimostrato che un normale PC con Windows 10, verificato con un programma come DPC Latency Checker che ho descritto più sopra, si dimostra adatto a gestire in maniera opportuna anche i più complessi flussi audio e video.
Magari leggerete dei risultati di questo nuovo progetto in un prossimo articolo.
E siamo così giunti alle conclusioni.
Spero di aver destato nei lettori che non hanno ancora intrapreso l’avventura di costruirsi un HTPC la voglia di farlo, o comunque di fare esperimenti in merito.
La possibilità di sperimentare, provare, confrontare, rimane secondo chi scrive uno degli aspetti più belli di questa nostra passione.
Ormai, per chi non ha voglia od interesse ad impegnarsi nella costruzione di una macchina dedicata ed impegnativa come quella che ho descritto, sul mercato sono disponibili una miriade di soluzioni atte allo scopo, e anche con un semplice laptop dotato di buona scheda grafica ed uscita HDMI e un piccolo box di hard disk esterno si possono ottenere degli ottimi risultati.
È tutto, ma rimango come al solito disponibile per ogni informazione o chiarimento in proposito. Buon ascolto.
Andrea Bin