L’UHD è in forma smagliante

Come era prevedibile, è stato sufficiente aspettare un anno per vedere l’assaggio di HDR, presentato in forma compiuta al CES 2015, trasformarsi in un pranzo completo imperniato su un menù ricco dei contributi dai grandi nomi dell’elettronica di consumo. E così anche il terzo “piede” su cui è d’uso basare la definizione di qualità delle immagini (risoluzione, frame rate, luminosità) viene finalmente aggiornato e reso omogeneo agli altri due, precedentemente evoluti.

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Con l’acronimo HDR (High Dynamic Range) si intende l’insieme di caratteristiche/richieste hardware, algoritmi, protocolli e workflow necessari per definire il riferimento di luminosità per la produzione, il trasporto e la riproduzione di materiale in formato UHD fissato a 1.000 cd/m2: un miglioramento quantificabile in un fattore moltiplicativo pari a dieci rispetto alla luminosità massima (100 cd/m2) fin qui utilizzata in forza dell’aderenza alla raccomandazione Rec. 709 (nonostante i televisori siano già da tempo capaci di esprimere 500 cd/m2).

Certo, rispetto ai cinque o sei ordini di grandezza su cui si estende la dinamica dell’illuminazione naturale, quella per cui il sistema visivo è progettato, le 1.000 cd/m2 sono soltanto una frazione, ma è anche vero che nella ricerca della ottimale qualità delle immagini l’opzione occhiali da sole per guardare un film sarebbe un filino scomoda.

Che la necessità di rivedere la definizione della luminosità delle immagini fosse indispensabile appare chiaro innanzi tutto dalle maggiori potenzialità dei pannelli LCD rispetto al CRT per il quale lo standard è stato pensato, ma è anche evidente dalle ricerche effettuate da vari attori del settore, produttori di hardware e software, dalle quali risulta che il gradimento dei campioni neutri (cioè non particolarmente educati o coinvolti in campo video) va in maggioranza ad illuminazioni dell’ordine delle 4.000/5.000 cd/m2, con punte rilevanti fin verso le 10.000; all’altro estremo della gamma le cose sono più semplici perché il nero è nero per tutti.

Partendo da questi dati la UHD Alliance ha recentemente formalizzato le specifiche che armonizzano i diversi passaggi, dalla produzione alla fruizione, cui è soggetto il video, cercando il giusto compromesso tra richieste, possibilità tecnologiche attuali e future, costi. Nel caso dei display il risultato è riassunto dai dati che seguono:

  • Risoluzione immagini: 3.840×2.160
  • Profondità colore: 10 bit
  • Rappresentazione colore: BT. 2020 (Rec. 2020)
  • Riproduzione colore (display): più del 90% del DCI P3
  • HDR: 1.000 cd/m2
  • Rapporto di contrasto LCD: 1.000:0,05 ovvero 20.000
  • Rapporto di contrasto OLED: 540:0,0005 ovvero 1.000.000

Più che sul valore assoluto della luminosità massima, come si vede, l’attenzione è focalizzata sul range dinamico, cosa che in effetti ha decisamente più senso perché quello che si percepisce non sono tanto i valori assoluti quanto le differenze, ed inoltre per lasciare spazio alle due tecnologie attualmente (quasi) in competizione, si definiscono i livelli di luminosità massima e minima in maniera differente: giusto per tenere conto del livello del nero raggiungibile dagli OLED decisamente più basso di quello degli LCD e specularmente all’estremo alto della gamma dove gli LCD hanno maggiori potenzialità.

Lo spazio colore è il più ampio cui si possa aspirare, il BT.2020, ma in forza di alcuni attuali limiti tecnologici ed anche per non sovraccaricare i costi è tollerata la capacità di riprodurre i colori nell’ambito del gamut DCI-P3 che copre circa i tre quarti del BT.2020 ma è utilizzabile da subito.

Quelle riportate sono le specifiche riguardanti il solo sistema di visualizzazione, ma, ovviamente, ci sono anche le parti relative alla produzione del materiale ed al trasporto, almeno per quanto attiene allo streaming ad alla memorizzazione su sopporto. La questione della trasmissione dei segnali UHD è, invece, ancora non completamente fissata perché il formato scelto per lo streaming mal si adatta alla trasmissione via radio. E comunque è un male da poco visto che la stragrande maggioranza delle emittenti trasmette ancora segnali a definizione standard (e aggiungerei che del telegiornale in UHD se ne può fare decisamente a meno. E con un pizzico di cinico realismo, anche del telegiornale tout-court).

La strada per la commercializzazione atraumatica di televisori realmente UHD e, soprattutto, del materiale e dei player che ne costituiscono il naturale e necessario complemento è aperta e ben tracciata: dal lato hardware (quello tipicamente più veloce a cogliere le opportunità) l’offerta è variata e ricca sia in termini di display che di player (Streamer ma anche Blu-ray UHD), i dischi ad alta definizione recepiscono le raccomandazioni della UHD Alliance e definiscono il nuovo formato Blu-ray UHD, le major cinematografiche pubblicano (negli USA per il momento) una quarantina di titoli rimasterizzati ad-hoc ed i servizi di rete, Netflix ed Amazon ad esempio, sono pronti a supportare lo streaming UHD con HDR (ma nel caso di Netflix il flusso dati sarà diretto soltanto ai ricevitori certificati) e nei prossimi mesi arriveranno i lettori Blu-ray visti al CES.

Per identificare senza errore gli apparecchi capaci di riprodurre UHD con HDR, la UHD Alliance ha preparato il logo visibile in figura, uno strumento utile per indirizzare correttamente le proprie attenzioni in un mondo tecnologico sempre più complesso nel districarsi e per i più sempre più impegnativo.

di Giancarlo Corsi

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