Gamma: nuova veste grafica per la misura di linearità

Sebbene il significato di questo importante parametro sia abbastanza semplice (nevvero?), il grafico del gamma, almeno così come lo abbiamo finora presentato, non è di immediata leggibilità. Per questo abbiamo deciso di modificarne la veste grafica, rendendola più comprensibile.

AperturinaConfesso che io stesso ho sempre fatto una certa fatica a leggere il grafico della linearità, non perché ci fosse una particolare complessità concettuale, ma per via del modo in cui, quando la misura fu introdotta, si decise di presentarla. Forse avrete notato che ormai da qualche mese il commento alla misura inizia sempre allo stesso modo: “Il gamma normalizzato al 50%…”. Questo perché, proprio per facilitarmi il compito in fase di elaborazione dei giudizi, avevo preso l’abitudine di graficare direttamente il valore del gamma normalizzato e non il suo scostamento dal valore di riferimento. Dal momento che con questo tipo di grafico “immediatamente assimilabile” mi sono trovato molto bene, non c’è motivo di non pubblicarlo al posto del precedente. L’occasione è perfetta per un “ripasso” dell’argomento, sia per i lettori più giovani che non ne hanno ancora sentito parlare, sia per quelli di vecchia data che volessero approfondire la questione.

Il gamma e le altre misure

Il lavoro che un display deve fare è concettualmente semplice: il segnale ingresso contiene informazioni su colore ed intensità di ciascun punto delle immagini, e “lui” deve riprodurre ciascun punto del colore e dell’intensità giusta. I più attenti avranno notato che ho parlato di punti; non me ne vogliate per questa sintesi non molto rigorosa, ma che espone il concetto con chiarezza. In realtà i segnali analogici descrivono l’immagine per righe; solo nel dominio digitale le immagini vengono memorizzate e trasmesse per punti. Sia i display analogici (televisori e proiettori a tubo catodico), sia quelli digitali, generano le immagini per sintesi additiva, utilizzando combinazioni dei tre colori primari (rosso, verde e blu), che in realtà sono gli unici che fisicamente vengono generati. Dal momento che il bianco, in tutti i suoi livelli (grigi), è ottenuto come somma di tre “dosi” uguali dei colori primari, vedere come il display risponde al bianco ci dice come l’apparecchio funziona con tutti i colori. Un po’ come il rumore rosa nell’audio, dentro c’è tutto.

Detto e capito questo, ecco che la logica della pagina delle misure appare in tutta la sua evidenza. Il primo gruppo ci dice qual è la “potenza” dell’apparecchio; lì trovate infatti la massima luminosità che il display è in grado di offrire, misura accompagnata anche da quella del livello del nero, ossia del “minimo bianco” riproducibile. Il rapporto tra questi valori ci parla del contrasto che le immagini generate saranno in grado di garantire. A nulla serve infatti un televisore molto luminoso se poi non è in grado di riprodurre un buon nero. La seconda misura è quella di uniformità: è importante che ad un certo livello di segnale, lo stesso per tutta l’immagine, questa appaia uniforme sia in livello luminoso che in termini di colore. Il test viene effettuato ad un solo livello di segnale in ingresso, il bianco al 40%, valore medio dei normali segnali televisivi.

La terza e la quarta misura sono due facce della stessa medaglia e rappresentano il comportamento dell’apparecchio in termini di fedeltà al colore (equilibrio) e fedeltà all’intensità (linearità), le due componenti essenziali del segnale in ingresso a cui facevo riferimento poc’anzi.
In pratica si invia all’apparecchio il bianco a livelli crescenti e ci si aspetta che ad ogni passo di misura l’apparecchio riproduca un bianco del giusto livello. La risposta al colore viene evidenziata graficando gli scarti cromatici rispetto al bianco nello spazio colore Lab. Non è intuitivo come potrebbe essere lo spazio RGB, ma c’è un motivo molto preciso alla base di questa scelta. Lo spazio Lab è uno spazio in cui le distanze tra i punti rappresentanti vari colori sono proporzionali alle differenze di percezione.

La risposta al livello (linearità) è stata finora rappresentata da una curva che rappresenta gli scostamenti del gamma rispetto al riferimento.
L’ultima misura, il gamut, mostra l’insieme dei colori che l’apparecchio può riprodurre. Lasciate che mi fermi qui, perché anche se ci sarebbero moltissime cose da dire sul gamut, risulterebbero off-topic in questo articolo.
Veniamo quindi ad una domanda che a questo punto nasce spontanea: perché la fedeltà in termini di intensità luminosa viene evidenziata in termini di gamma? Ma che è alla fine ’sto gamma? Uno che non lo sa, si aspetterebbe una misura di linearità fatta semplicemente da tante barre verticali di ampiezza proporzionale alla intensità luminosa misurata.

Cosa è il gamma

Per capirlo occorre fare un passo indietro nel tempo, quando c’era solo la tecnologia CRT. Come funziona un tubo catodico lo sapete tutti: si scalda un filamento per fargli emettere un fascio di elettroni che opportunamente controllato va ad eccitare i fosfori dello schermo, che a loro volta emetteranno la luce che genera l’immagine. Il fascio di elettroni viene guidato dal giogo di deflessione per fargli scandire tutta la superficie dello schermo, mente altri elettrodi ne modulano l’intensità. Il fulcro della questione del gamma è proprio in questo punto. Chiamiamo V la tensione del segnale che regola l’intensità del fascio di elettroni e Y la luminosità emessa dal display ad una certa V in ingresso. Il legame tra V e Y non è lineare (Y=kV), ma esponenziale:

Y=Vγ

L’esponente della curva che lega tensione e luminosità è da sempre stato indicato con la lettera gamma ed è per questo che il gamma si chiama… gamma.
Quindi il gamma è un parametro fisico del funzionamento dei televisori CRT, del quale occorreva tenere conto per codificare i segnali video in modo che l’output fosse esattamente quello voluto. In altre parole: i televisori funzionano così, se all’ingresso applicate la tensione V, in uscita avrete una luminosità Y pari a Vγ. Negli standard di trasmissione la luminosità delle immagini è codificata con una tensione ad essa proporzionale (raddoppio di tensione = raddoppio luminosità); quindi il segnale viene “pretrattato” con una funzione esponenziale inversa (1/gamma) in previsione della risposta degli apparecchi CRT. Il valore del gamma dei CRT è pari circa a 2,5 ed è questo il valore che si è assunto come riferimento, anche se nel corso degli anni, complice anche l’evoluzione tecnica che ne ha permesso un più semplice controllo, il valore negli standard che si sono susseguiti è stato leggermente ridotto. Non è insolito trovare apparecchi con gamma 2,2, che può essere ritenuto regolare.

Il grafico del gamma ed effetti delle sue variazioni

Graficare il gamma di un display significa quindi vedere se ed in che misura il display stesso si discosta in termini di intensità luminosa dai valori previsti dallo standard; per questo la misura è detta linearità. Se il gamma è costante e pari al riferimento (2,5), vuol dire che il livello di uscita è quello esatto per ogni livello di prova, e tanto nel “vecchio” grafico quanto nel nuovo avremmo una retta orizzontale, di ascissa rispettivamente pari a 1 e 2,5 (figura 1 e 2).

Figura 1

Figura 1

Figura 2

Figura 2

Per un valore di gamma inferiore a 2,5, per esempio 2, cosa sarebbe successo? Alle basse luci l’apparecchio avrebbe mostrato intensità più alte del dovuto, quindi neri più grigi, mentre alle alte luci il livello del bianco sarebbe apparso inferiore all’ideale. L’immagine sarebbe apparsa compressa nella sua dinamica. Il “vecchio” grafico sarebbe apparso come in figura 3; il nuovo ovviamente è una semplice retta di ascissa 2 (fig. 4).

Figura 3

Figura 3

Figura 4

Figura 4

Per un gamma più alto del dovuto, per esempio 3, il display avrebbe mostrato alle basse luci neri più neri del dovuto (affogando tutti i dettagli) e alle alte luci una luminosità maggiore del previsto. L’immagine sarebbe apparsa “espansa”. Il vecchio grafico si sarebbe presentato come in figura 5, mentre con la nuova veste grafica (fig. 6) vedremmo ovviamente ancora una volta una retta di ascissa 3. Nella vecchia rappresentazione tutte le curve passano sempre per il punto di ascissa 1 e ordinata 50%.

Figura 5

Figura 5

Figura 6

Figura 6

Gli effetti pratici delle variazioni del gamma possono essere apprezzati nelle figure 7 (gamma normale), 8 (gamma basso) e 9 (gamma alto). Le figure sono volutamente esasperate, per evidenziare come un gamma basso alza le basse luci, mentre al contrario un gamma più alto del dovuto rende le basse luci una massa indistinta.

Figura 7

Figura 7

Figura 8

Figura 8

Figura 9

Figura 9

Perché non graficare direttamente il livello di uscita? Perché da solo direbbe poco, andrebbe affiancato da quello di riferimento, non noto a priori, come sarà chiaro più avanti. E poi anche in caso di deviazioni marcate, queste sarebbero state evidenziate solo alle alte luci, mentre alle basse la curva misurata e quella “ideale” sarebbero pressoché sovrapposte (fig. 10).

Figura 10

Figura 10

Il gamma normalizzato: il soggetto del nuovo grafico

In tutto quanto esposto finora non ho spiegato come in effetti si possa misurare il gamma. In teoria si potrebbe pensare di operare semplicemente invertendo la formula Y=Vγ per ottenere gamma (gamma = log(Y)/log(V)). Basterebbe inviare un segnale, misurare la luminosità e calcolare il gamma. Ma ogni display ha una sua propria “potenza” luminosa. Quindi provando n display diversi, magari tutti ideali (gamma costante pari al riferimento), al 100% ciascuno di essi emetterebbe la sua massima luminosità e si otterrebbero n valori diversi di gamma. Poiché ogni apparecchio ha una sua luminosità, che non è nota a priori, il valore in uscita non può essere preso direttamente per calcolare il gamma. Un modo per aggirare l’ostacolo è quello di normalizzare i valori del segnale in ingresso ed uscita rispetto ad un valore preso come riferimento. Così il segnale in ingresso non sarà più tot volt, ma sarà un numero puro dato da quei tot volt divisi per una tensione di riferimento. Così per il livello di uscita, non più tanti lux ma un numero puro dato dal rapporto tra uscita ed il livello di uscita misurato alla tensione scelta come riferimento. Se normalizziamo rispetto al 100%, il segnale varierà da 0 (0%) a 1 (100%). Normalizzando rispetto al 50%, il segnale in ingresso varrà ancora 0 allo 0%, varrà 1 al 50 e 2 al 100%. Il valore numerico dell’uscita normalizzata dipenderà dalla potenza luminosa dell’apparecchio in prova. La scelta del livello rispetto al quale normalizzare è del tutto arbitraria e dal punto di vista puramente matematico ogni valore andrebbe bene. Sembrerebbe logico normalizzare al 100%. Ma se l’apparecchio stesse saturando, ovvero stesse comprimendo? Tutti i calcoli risulterebbero alterati. Noi abbiamo scelto di normalizzare al 50% perché si suppone che in questa situazione l’apparecchio stia lavorando senza “sforzi”, ovvero senza compressioni o alterazioni legate ad un non corretto livello del nero. Per tutte queste ragioni sono piuttosto diffidente nei confronti di chi dice “ho misurato il gamma e ho trovato 2,2…” senza specificare nulla di più. Molti strumenti misurano il gamma e se non fanno un’operazione di normalizzazione è logico supporre che il valore fornito sia il gamma della curva osculatrice della curva rilevata, ossia quella curva che meglio approssima quella fornita dai punti di misura. Ma come viene fatta l’osculazione? Il punto al 100% è considerato o no? Non lo so io, lo sa chi ha scritto il software dello strumento, ma chi continua a dire “il gamma misurato è…” probabilmente non si è nemmeno posto il problema e non si rende conto che quel numero fornisce solo una indicazione di massima ma che punto per punto il gamma può assumere un valore differente.

Normalizzando i dati ottenuti in una sessione di misura rispetto a vari livelli, per esempio 40, 50 e 60%, si ottengono andamenti simili della curva del gamma, ma con valori numerici leggermente diversi (fig. 11). Quello che conta è l’andamento della curva e se il gamma è superiore o inferiore al riferimento alle alte e alle basse luci. Un altro modo di procedere potrebbe essere quello di calcolare un gamma differenziale tra due punti di misura consecutivi. Abbiamo già iniziato a farlo, ma abbiamo deciso di aspettare a presentare anche questo dato, per avere una statistica più rilevante a disposizione e per non mettere troppa carne sul fuoco tutta insieme.

Figura 11

Figura 11

Alterare il gamma è lecito?

Ovvero, se un apparecchio ha un gamma costante ma diverso da 2,5, come dobbiamo ragionare? La questione è più concreta di quanto appaia. Date un’occhiata alla figura 9. I quadrati interni sono identici sia nella parte della figura con lo sfondo chiaro che in quella con lo sfondo scuro. Eppure ci appaiono in modo diverso. Lo stesso accade quando si guarda un televisore in una stanza con molta luce ambiente o in una sala semioscurata. Il gamma può essere adattato per migliorare la resa del display in funzione delle condizioni d’uso. Per questo può essere opportuno modificare la curva del gamma, per interfacciare al meglio il display con l’ambiente; ma credo che ogni apparecchio debba avere comunque almeno un preset lineare ed allineato con il riferimento. Un gamma attorno a 2,2 è una soluzione valida per ambienti non molto illuminati, ove un lieve innalzamento dei neri può aiutare a tirare fuori più dettagli senza che il contrasto ne risenta troppo, visto che l’ambiente scuro dà comunque all’immagine un maggior risalto. Così come una leggera espansione può rendere le immagini più leggibili in ambienti molto illuminati.

Quindi anche se il grafico ideale è una retta a 2,5, anche valori diversi potrebbero avere una loro ragion d’essere, e come accennato alcuni standard di recente introduzione assumono gamma pari proprio a 2,2. Molti apparecchi, soprattutto i TV a schermo piatto, incorporano molti circuiti per migliorare la resa, che potrebbero dare origine a curve del gamma non proprio ortodosse. Un esempio eclatante sono le elaborazioni introdotte sul segnale nei pannelli LCD ora che la retroilluminazione a LED sta prendendo piede; si è pensato infatti alla tecnica del local dimming per abbassare il livello del nero solo dove serve. La matrice di LED, e tanto più numerosi sono tanto meglio si può fare, consente infatti di abbassare la retroilluminazione localmente, nelle aree scure dell’immagine. Ma così facendo anche eventuali dettagli luminosi sarebbero attenuati. Un controllo locale del gamma consente di limitare i danni, rendendo più bianco il bianco dove la retroilluminazione viene abbassata per rendere il nero più nero. Gli apparecchi sono fatti per funzionare con segnali video, non con segnali test. Nondimeno dovrebbe essere lasciata all’utente la possibilità di riprodurre il segnale così com’è, senza alterazioni più o meno volute. Le misure continueranno a dirci come intrinsecamente si comporta l’apparecchio, ma quanto più complesse divengono le elaborazioni applicate, tanto più le misure andranno soppesate con l’analisi soggettiva.


 

Vecchio e nuovo a confronto: come si interpreta il grafico

Vediamo qui a confronto la misura di linearità di un apparecchio provato qualche numero fa nella vecchia e nella nuova veste grafica. Il nuovo grafico (in alto) non ci dà solo informazioni qualitative sull’andamento del gamma, ma ci dice quanto vale ad ogni livello. Nel vecchio grafico queste informazioni erano “nascoste”, sebbene esso ci informasse sull’andamento qualitativo. Al di sopra del 50% la curva si trova al di sotto dell’unità, quindi l’uscita dell’apparecchio è inferiore al valore atteso (gamma basso). Alle basse luci la curva schizza in alto, quindi uscita più alta del dovuto ed ancora una volta gamma basso. Tra il 20 ed il 40% siamo vicini all’unità, quindi gamma ancora minore del riferimento ma di poco. Tutto questo ci viene offerto immediatamente nel nuovo grafico, senza doverci sforzare troppo. Non male, no? Se avete ripescato la prova dalla quale abbiamo preso in prestito il grafico per questo esempio, avrete anche letto che il display presenta un livello del nero basso. Le due cose (gamma basso alle basse luci con neri più alti del dovuto e livello del nero basso) non sono affatto in contraddizione. Un livello del nero basso significa che quel display, pilotato con segnale allo 0%, presenta una luminosità residua bassa in assoluto, rispetto alla media dei prodotti provati. Ma quel nero, all’interno della scala dei grigi riprodotta dall’apparecchio, non è nel giusto rapporto di intensità. O, se volete, i livelli superiori non sono sufficientemente più alti e, fissando il riferimento al 50%, il nero appare troppo chiaro, pur essendo “molto nero”.
RIQUADRO-1 RIQUADRO-2


di Mario Mollo

da Digital Video n. 91 giugno 2007

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